Gli Antichi egizi navigavano nel Pacifico alla ricerca dell’oro


Con l’opera di Barry Fell, che ha trovato corrispondenza tra la lingua e l’alfabeto Maori e l’antica lingua libica, studiando iscrizioni sparse per gli oceani Indiano e Pacifico, e persino nelle Americhe, appare opportuno rivedere alcuni aspetti dei resoconti dell’antico Egitto sui viaggi, le esplorazioni e la ricerca dell’oro, traducendo da Quiring il testo “Die Goldinsel des Isador von Sevilla, Aegypter der 20. Dynastier als Entdecker und Kulturbringer in Oestasien”. Quiring aveva già trattato l’argomento delle scoperte oceaniche di Egizi e Fenici e sui più antichi ritrovamenti di ferro e acciaio. Egli sostiene che gli antichi Egizi erano sin da antichi tempi familiari con l’Oceano Indiano e con la parte occidentale del Pacifico, in particolare con il Mar della Cina.
Egli comincia dal commento ad una persistente leggenda sull’esistenza di un’Isola d’Oro, nelle Indie Orientali, e racconta di spedizioni partite alla fine del sec. XVI alla ricerca di quella mitica isola. In tutta l’area dell’Oceano Indiano, egli dice, solo Sumatra poteva ricevere un tale nome.
“Se vogliamo trovare un fondamento alla leggenda dell’Isola d’Oro, dobbiamo immergerci nella più profonda antichità. La seconda Dinastia dell’Antico Egitto (ca. 2890–2686 a.C.) aveva abbandonato lo sfruttamento dei giacimenti d’oro lungo il fiume, ormai poco vantaggiosi, per andare a scavare il metallo nel “deserto” tra il Nilo ed il Mar Rosso. I primi cercatori d’oro l’avevano setacciato dalle sabbie fluviali, ma ora si puntava a cercare i filoni nella viva roccia.
Sotto Sahure (V Dinastia, ca. 2494–2345 a.C.) sono registrati i primi viaggi marittimi dal Mar Rosso alla Terra di Punt, ricca d’oro e d’antimonio. I viaggiatori portarono 6000 deben (1 deben = circa 91 grammi) di elettro, probabilmente oro fluviale proveniente dai fiumi Zambesi e Save, nell’attuale Mozambico. I viaggi verso Punt proseguirono con intensità durante la VI Dinastia (ca. 2345–2200 a.C.)… Troviamo il racconto di un esattore di tasse che percorse la rotta verso Punt almeno undici volte, impiegando ogni volta tre anni per il viaggio d’andata e di ritorno. Un tale viaggio richiedeva un gran coraggio e i navigatori se ne vantavano.
Dopo l’espulsione degli Hyksos, Thutmosis I (1525–1512 a.C.) riprese i viaggi verso le Indie. Sulle scogliere dell’isola di Tombos, una sua iscrizione lo celebra come il comandante delle isole del Gran Mare che circonda il mondo.
I suoi successori continuarono con successo i viaggi alla ricerca di beni preziosi. I magnifici bassorilievi di Hatschepsut (ca. 1500 a.C.) nel tempio di Dair el Bahri mostrano ampiamente tali viaggi. Anche Ramses II (1304–1237 a.C.) si considerava il signore dell’Africa e degli Oceani. Su una statua di granito nel tempio di Luxor reclama il controllo del Gran Mare che circonda le terre e delle terre meridionali abitate dai Neri, sino alle regioni paludose ed ai “confini dell’Oscurità” ed alle “colonne del Cielo”.
I viaggiatori verso Punt, dei quali gli Egizi raccontarono i successi per circa 1400 anni, scoprivano coste ed isole nell’Oceano Indiano, apparentemente sino alla latitudine del Circolo Polare Antartico (i confini dell’oscurità)!
Sotto Ramses III (1198–1166 a.C.) i viaggi alle Indie divennero grandi spedizioni. Il Papiro Harris parla d’un viaggio in cui furono inviati 10.000 tra marinai e mercanti, e probabilmente esperti minatori e cercatori d’oro e d’altri preziosi. La fine delle guerre di Troia e la sconfitta dei Popoli del Mare da parte di Ramses III avevano restituito agli Egizi la loro libertà di movimento per mare. Sul Mediterraneo e sul Maro Rosso non navigavano soltanto le flotte del Faraone, ma anche quelle dei templi di Amon, Ra e Ptah. Il commercio marittimo dovette espandersi come mai prima d’allora. Le navi costruite con legname di cedro raggiungevano i 67 metri di lunghezza.
Quando, 2700 anni dopo, le compagnie inglesi nel 1893 cominciarono a sfruttare le miniere di quella che chiamarono Rhodesia (oggi Zimbabwe e Zambia), scoprirono che il rame e gli altri metalli erano stati estratti sin dall’antichità, con strumenti in uso anche nell’antico Egitto. Ferner trovò nella regione aurifera dello Zambesi una rozza figurina d’argilla che rappresentava Thutmosis III e nello Zimbabwe un lingotto d’oro con la stessa forma di quelli custoditi nel tempio di Medinet Habu, all’epoca di Ramses III. Dopo l’estrazione di circa cinquemila tonnellate d’oro, imrpvvisamente gli antichi minatori abbandonarono le miniere, nel sec. IX a.C.
Nel 1896 si trovarono antiche opere di miniere d’oro sulla costa occidentale di Sumatra. Mentre i ricercatori della Redjang Lebong Co. svolgevano ricerche nell’area aurifera, nel 1897, trovarono tra gli scarti d’una vecchia miniera a Lebong Donak frammenti contenenti oro e argento, estratti da una profondità di 30 metri e poi trasportati da oltre 10 km di distanza. In quella regione mineraria, come nell’antico Egitto, in Nubia e nel Sud Africa, si usava estrarre il materiale e poi lavarlo nelle correnti fluviali per l’estrazione finale del metallo. Si pensò in un primo momento che le miniere fossero state sfruttate dai cinesi al principio del sec. XIX, ma ciò era improbabile. I cinesi non facevano scavi profondi.
Verso il 1500 a.C. in India fu iniziato lo scavo d’una miniera a Mysore, e poi fu abbandonato, dimenticato per 3400 anni sino a che gli Inglesi non lo riaprirono nel 1880. In ogni caso, la popolazione dell’Asia meridionale ed orientale estraeva oro, magnetite e pietre preziose direttamente dalle sabbie fluviali, senza andare a scavarli in miniere profonde.
Mentre scrivevo la mia “Storia dell’oro”, mi sono convinto che le antiche miniere d’oro di Sumatra risalissero al periodo 1200–500 a.C. Nessun popolo dell’Asia orientale o meridionale poteva avere intrapreso tale operazione. Tutto intorno all’Oceano Indiano, il quel periodo, sono gli Egizi erano interessati all’estrazione dell’oro su grande scala. Senza una loro influenza, si trovavano solo piccoli sfruttamenti locali e non miniere.
Potevano essere solo gli Egizi a sfruttar le miniere d’oro in Sud Africa e a Sumatra, e ciò diviene quasi una certezza se si considera il resoconto pubblicato da Pauthier e Bazin, secondo il quale nel 1113 a.C. l’imperatore cinese Tachoking ricevette ambasciatori dal regno di Ni–li, probabilmente dall’Egitto, che avevano compiuto un lungo viaggio a bordo di “case che nuotavano” e che sapevano determinare la loro posizione “osservando il sole ed i corpi pesanti” per sapere in quale regione ed in quale regno si trovassero. Anche P. Freise, senza conoscere le antiche miniere di Sumatra, concluse che quegli ambiasciatori fossero egiziani. L’ambasceria presume anche che i Faraoni (e possono essere soltanto i Ramessidi della XX Dinastia) conoscessero l’esistenza del regno cinese.
Lunghe navi con cercatori d’oro viaggiavano sotto Ramses III non solo verso il sud, sfruttando i monsoni, ma anche verso l’est sino alla costa settentrionale di Sumatra. Con il monsone di sud–ovest, navi di soli dieci metri di lunghezzza e 2,7 m di larghezza possono attraversare la distanza da Aden a Sumatra in dodici giorni. Poiché i giacimenti auriferi di Benkoelen sono a meno di 40 km dalla costa di Sumatra e l’alluvione aurifera si estende sino al mare, cercatori d’oro con esperienza non avrebbero potuto ignorarli. Sumatra poteva produrre sino a 100 tonnellate d’oro. Gli egiziani sarebbero stati così il primo popolo proveniente dal Mediterraneo a passare attraverso gli stretti di Malacca e a viaggiare sino al sud della Cina, al fiume Huang Ho, e poi sino alla capitale che era, allora, Singanfu, nella provincia di Shenxi.
Le miniere furono probabilmente abbandonate a causa del declino egiziano, verso la fine della XX Dinastia. L’influenza culturale egizia nell’Asia orientale non scomparve, tuttavia. In Cambogia, improvvisamente si passò dalle culture paleolitiche all’uso di strumenti dell’Età del Bronzo: asce di tipo simile a quelle mediterranee (Tullenbeile). Senza l’influenza egiziana, non sarebbe possibile spiegare una tale improvvisa evoluzione. Menghin proponeva un lungo percorso circolare attraverso la Russia e la Siberia. Se invece possiamo ammettere un influsso egiziano per via marittima nell’Asia sud–orientale, risolveremmo una difficile questione sugli sviluppi culturali in quest’area. Quella forma particolare delle asce appare nel Medio Oriente ed in Egitto intorno al 1850 a.C. e vi permane sino al 700 a.C., la stessa epoca in cui esse compaiono nel Sud–est asiatico. Sotto l’influenza egizia, potrebbe essere iniziata l’attività di lavaggio delle sabbie aurifere nella penisola di Malacca, il “Chersoneso d’Oro” del Periplo del Mare Eritreo. Il geografo Tolomeo ha registrato diversi nomi di località dell’India interna, collegati con SAB o SAM (in egiziano, SAM indica l’oro estratto dai fiumi). Similmente, in Sud Africa gli Egizi lasciarono nomi collegati all’operazione del lavaggio dell’oro, come Save e Zambesi (fiume dell’oro).
Dopo la morte di Ramses III (1166 a.C.), ci fu un declino della potenza egizia. Le relazione con l’Oriente si interrruppero, probabilmente, verso il 1090 a.C.”.
Commento di Carter
La ricerca di Quiring slitta da una Punt collocata in Africa ad una Punt posta nelle Indie orientali. Se il termine Punt si riferisce alle lontane terre dell’oro, avrebbe potuto indicare entrambe le località, o forse la prima in un tempo più antico, e in seguito la seconda. L’argomento è stato a lungo dibattuto.
È ampiamente accettato che gli Egizi inviassero una flotta a circumnavigare l’Africa. Noi tendiamo a dimenticarci del fatto che, per ciascun evento di questo tipo ricordato, ce ne sono stati almeno altri 10 o 100 non registrati.
Il numero di persone che componeva la ciurma in questi viaggi è molto significativo. Si è detto che la presenza dei militari americani in alcune isole del Pacifico, durante la seconda guerra mondiale, mutò la composizione razziale della popolazione. Le migliaia d’egiziani mandati alle regioni aurifere devono aver avuto un simile impatto di massa sulle popolazioni native. Il mescolamento biologico deve essere stato più sintomatico ed importante del cambio culturale, perché una donna locale che avesse avuto un figlio da un egiziano avrebbe anche potuto educarlo secondo i propri costumi ancestrali, ma comunque il figlio avrebbe avuto caratteri somatici semi–mediterranei.
L’Età del Bronzo in Cambogia ed in Tailandia è stata collocata intorno al 3000 a.C. Tuttavia, ad una prima fase piuttosto lenta, vediamo succedersi l’improvviso arrivo del bronzo nel Sud–est asiatico ed in Cina. Anche se i bronzi Shang in Cina sono sempre nello stile nazionale, essi appaiono estremamente sofisticati per la loro tecnica e non conosciamo alcun periodo precedente di sviluppo tecnologico. Conosciamo molte fasi graduali di evoluzione nell’Occidente, ma nessuna ad Oriente, per cui è valida l’ipotesi di un’importazione tecnologica dal primo al secondo.
Quiring suppone anche che la bussola possa non essere stata inventata dai Cinesi, ma in Occidente. Needham attribuisce la conoscenza delle proprietà magnetiche di certi minerali sia ai cinesi, sia ai popoli occidentali, verso il primo millennio a.C., molto tempo dopo il periodo interessato dagli studi di Quiring. La bussola sembra apparire in Europa improvvisamente, alla fine del sec. XII d.C. Su questo punto, permangono molte incertezze.
Tempi di viaggio 
Uno degli elementi chiave relativi ai viaggi verso terre lontane è quello del tempo richiesto per andare e ritornare. Per esempio si dice che nel 2000 a.C. il tempo richiesto per la percorrenza del viaggio completo sino alle terre dell’oro di Punt fosse di tre anni. Punt è stata collocata in diverse parti: Africa orientale, India, Indie orientali. Quale di questi luoghi può corrispondere al viaggio di tre anni?
Dobbiamo innanzitutto fare alcune considerazioni. Il viaggio era solamente di andata e ritorno, o comprendeva anche un periodo di sosta per scavare le miniere? Nel caso specifico dell’esattore di tasse egiziano, quale altra attività implicava? Non essendo sicuri, dovremmo prendere in considerazione entrambe le alternative. Sembra che il testimone diretto, nel cercare di parlarci della distanza, curi di più i tempi di viaggio che non quello intermedio di residenza nel luogo, ma possiamo comunque considerarli entrambi.
Il primo tempo di viaggio dell’imbarcazione, in numeri di giorni, può ricadere sotto alcune categorie diverse: (1) viaggio con imbarcazioni leggere e veloci, come zattere o canoe, (2) navi pesanti da carico, con passeggeri a bordo, o pesanti zattere di balsa o giunche e navi del tipo di quelle del medioevo, (3) navi veloci a vela, del tipo dei moderni Clipper.
Il primo tipo d’imbarcazioni può affrontare un viaggio in modo molto rapido, ma non si tratta probabilmente del tipo di trasporto usato per andare e ritornare con un carico da terre lontane. Anche per viaggi come quello in alto mare, di dodici giorni, da Aden a Sumatra, di cui parla Quiring, non sembrano mezzi idonei.
Forse dovremmo distinguere e pensare ai viaggi più antichi compiuti con mezzi del primo tipo, quelli medievali, con navi da carico del secondo tipo, e infine navi veloci del terzo tipo nelle epoche più recenti. Su tali basi, il viaggio poteva essere percorso dagli antichi egizi in tre anni, da una nave del sec. XVI in due anni e da un clipper moderno in un solo anno.
Faremo riferimento al resoconto di Francesco Carletti “Il mio viaggio intorno al mondo”, in cui l’autore parla di un viaggio compiuto negli anni 1594–1602, come esempio utile per mettere in evidenza le varie tappe e la loro lunghezza.
L’autore indica il fatto che i Portoghesi compivano viaggi d’andata e ritorno da Goa a Sofala, Mozambico, Hormuz, Cina, Molucche e Bengala “in meno d’un anno” (pag. 222). Da Goa a Mozambico ci sono circa 2500 miglia, da Goa alle Molucche pressappoco lo stesso, da Goa a Canton in Cina circa 4000 miglia. Non sono importanti le distanze esatte, ma gli ordini di grandezza. Tutti questi viaggi si svolgono nell’area monsonica, con i venti che facilitano i viaggi in certe stagioni. Perciò con imbarcazioni pur relativamente primitiva si possono percorrere 2000 o anche 3500 miglia (il doppio per l’andata e ritorno), come dice Carletti, “in meno d’un anno”. Se si parte da un porto sul Mar Rosso, il viaggio sino alle Indie Orientali ed il ritorno si può svolgere nell’arco d’un anno, così come quello a Mozambico.
Carletti è specifico riguardo al viaggio da Goa alla Cina. Le navi salpano da Goa in aprile e al ritorno salpano dalla Cina in dicembre, impiegando tre mesi per ciascun viaggio, e così rimane parecchio tempo per svolgere il commercio in Cina. Insomma, anche senza possedere imbarcazioni di tipo moderno, l’intera area dell’Oceano Indiano appare raggiungibile con un viaggio circolare della durata d’un anno, tanto che i Portoghesi includevano nell’orbita dei viaggi annuali, con partenza da una base in India, addirittura una destinazione nel Mar della Cina.
Carletti calcolò che un viaggio intorno al mondo si potesse compiere in meno di quattro anni. La sua rotta, con i relativi tempi, è di grande interesse. Egli partì dalla Spagna per il Messico e proseguì attraversandolo per via di terra sino ad Acapulco (tre mesi in tutto). Qui soggiornò per nove mesi, poi s’imbarcò sul galeone Manila per le Filippine (tre mesi di viaggio). Rimase nelle Filippine per più d’un anno (14 mesi) e poi salpò per il Giappone, che raggiunse in un mese, poi, dopo altri cinque mesi, andò a Macau (viaggio di 15 giorni), dove rimase altri cinque mesi. Da qui partì per andare a Goa (tre mesi di viaggio). Rimase a Goa dieci mesi e poi, in altri sei mesi di viaggio, ritornò: in Europa, approdando in Portogallo. Ebbe tutto il tempo che gli occorreva per comprare e vendere schiavi, spezie, seta, cotone, porcellana. Fu imprigionato, rapinato e così via. Se sommiamo soltanto i periodi trascorsi in viaggio, sul mare, totalizziamo sedici mesi e mezzo.
Questo è un esempio interessante di un viaggio compiuto in una nave pesante da carico dei sec. XVI–XVII. Non ci aiuta molto a localizzare le terre che erano raggiungibili in un viaggio completo di andata e ritorno, della durata di tre anni. Si tratta d’un periodo sufficiente a compiere l’intero giro del mondo, con qualche pausa di sosta.
Se consideriamo l’attività d’un mercante, che compra e vende le proprie merci, o d’un esattore delle tasse che deve compiere la propria attività, che corrisponde abbastanza bene all’impiego del tempo complessivamente fatto da Carletti, bastano comunque quattro anni a compiere il giro del mondo, con lunghe pause.
Se l’esattore egiziano delle tasse fosse partito con un monsone e rimasto un anno nella propria meta, è ancora difficile arrivare a tre anni con l’intero viaggio. Si noti che compì undici viaggi, che gli presero 33 anni della sua vita. Se iniziò all’età di 17 anni, compì l’ultimo viaggio all’età di 50 anni, che a quell’epoca significava un’età piuttosto avanzata. Dobbiamo tener conto del fatto che si trattava di viaggi su rotte conosciute e abitudinarie, perciò non più avventurosi di quello di Carletti. Siamo dunque convinti che i tempi esposti comprendessero i periodi di soggiorno nelle località minerarie. Forse l’autore non intendeva dirci quanto fossero lontane quelle terre, ma piuttosto per quanto tempo è rimasto lontano da casa. La terra di Punt, sulla base del tempo di viaggio a lui impiegato, potrebbe essere stata dovunque.
Quiring, perciò, può trovarsi nel giusto sia quando afferma che gli Egizi raggiunsero l’Indonesia, sia quando parla della Cina. Tre anni di viaggio, anche con un anno di sosta intermedio, potrebbero aver portato il nostro esattore persino in America.
Se Quiring si trova nel giusto e quei viaggi furono compiuti intorno al 1090 a.C., possiamo pensare che la memoria di quelle lontane terre andasse perduta? Possiamo notare innanzitutto il fatto che i marinai della zona proseguirono probabilmente i viaggi, su una scala minore. Questo potrebbe sfuggire ad ogni resoconto.
In secondo luogo, gli Egizi avrebbero potuto conservare memoria sia scritta, sia orale, di quelle terre. Una situazione parallela potrebbe essere quella dell’insediamento spagnolo in California, progettato sulla base di resoconti vecchi di cent’anni, conservati con cura negli archivi di Siviglia. Oppure, ad una scala più piccola, le esplorazioni dei Normanni in America, che furono effettivamente “perdute” per la storia scritta, ma rimasero sparse in una serie di leggende orali, in cui si descriveva una terra ad occidente, al di là dell’Atlantico.
Anche i Cinesi cercarono per millenni la perduta terra di Fusang (il continente americano), e sembra che la raggiungessero di nuovo ad intervalli.
Sembra che i ricordi e la tradizione dell’esistenza d’una terra al di là del Pacifico fossero abbastanza consistenti da spingere a rifare il viaggio in modo intermittente, e a ristabilire i contatti.
L’esame di Quiring della storia mineraria egiziana suggerisce che verso il 1200 a.C. essi conoscessero tutto l’Oceano Indiano e almeno una parte del Pacifico. Viaggi successivi, come quello del capitano Rata e del navigatore Mawi, dei quali trattò Barry Fell, potevano ragionevolmente basarsi su conoscenze anteriori.
George F. Carter è stato professore di Geografia sino al 1967 all’Università A&M del Texas. Fu il responsabile, insieme a Barry Fell, del riconoscimento della prima iscrizione libico–polinesiana in America, ed è stato uno dei membri più eminenti dei quaderni ESOP (Epigraphic Society Occasional Publications).

1 commenti, commenta qui:

  1. COMPLIMENTI A QUESTTI REALI VIAGGI DESCRITTI STORICAMENT OGGI. NASCOSTI SOTTO LE SABBIE E L'OCEANO INDIANO, STANNO TORNANDO A NOI QUEL RACCONTO DEL NAUFRAGO NELL'ISOLA INCANTATA, ABITATA DAL GRANDE SERPENTE E ANCORA DALL' ALTO ANCORA. CREDERCI O NON CREDERCI, IO CI VIVO ESPLORANDOLA CHE E' SPETTACOLO SUPREMO. BENVENUTI A PEMBA ISOLA DELLA TANZANIA. PRESTO NE AVRETE MENSIONE, CIAO DA AKBAR DE PEMBA -