I petroglifi dei Monti di Maria


petroglifoI petroglifi dei Monti di Maria, eredità dei Sinù



Nella costa caraibica colombiana, più precisamente nei Monti di Maria, vi sono alcuni siti archeologici completamente sconosciuti, ma molto importanti per lo studio approfondito dei primi abitatori della zona, che svilupparono poi la stupefacente cultura dei Sinù.
Già alcuni studi archeologici effettuati nel secolo scorso a Puerto Hormiga, avevano provato che alcuni gruppi di nativi vi si erano stabiliti intorno al 3000 a.C. (a tale periodo risalgono alcuni pezzi di ceramica). La terracotta ritrovata però nei Monti di Maria (che oggi può vedersi nel museo del paese di San Jacinto), risale al 4000 a.C., ed è pertanto la più antica d’America.
Per raggiungere i petroglifi dei Monti di Maria, una zona che purtroppo fu teatro di frequenti scontri armati negli anni passati e che solo da poco tempo è stata pacificata, bisogna percorrere angusti sentieri e inoltrarsi nella spessa selva tropicale, che probabilmente un tempo si estendeva in gran parte della costa caraibica.
Si possono osservare tre petroglifi principali. Il primo situato in un affluente del torrente Rastro, rappresenta alcuni volti, probabilmente di cacique, ovvero capi spirituali e politici del tempo. Il secondo e il terzo, più importanti, sempre situati nel torrente Rastro, ma molto più a valle, nel municipio di San Juan Nepomuceno, raffigurano 4 volti, che si riferiscono possibilmente a 4 capi spirituali dell’epoca dei Sinù.

Nella parte superiore di uno di essi si notano altri 2 volti, che secondo me stanno a significare gli antenati della persona rappresentata.
Si pensa che la cultura Sinù, iniziò a svilupparsi intorno al secondo secolo dell’era di Cristo. Erano esperti d’irrigazione e agricoltura, infatti avevano costruito dei canali che permettevano loro di trasportare l’acqua fino ai campi più lontani dai torrenti. Avevano dato la giusta pendenza a detti fossati, tanto che ancora oggi molti di essi vengono utilizzati.
Secondo alcuni linguisti, il popolo dei Sinù aveva un’origine amazzonica, in quanto parlava una lingua del ceppo Caribe. Purtroppo nessuno parla più questa lingua oggi nel dipartimento di Cordoba, e pertanto è molto difficile stabilire con certezza la vera origine dei Sinù.
Si sa però che erano esperti artigiani, e fabbricavano meravigliose ceramiche e splendidi tessuti di cotone, che scambiavano con i popoli vicini.
All’arrivo del terribile conquistador Pedro de Heredia, il popolo dei Sinù si divideva in tre domini: Pancenù, Fincenù e Cenofana. Vi erano tre centri principali: Mexion, Yapel e Fincenù. Quest’ultimo era il luogo religioso più importante e veniva utilizzato per la sepoltura dei cacique. Le tombe venivano adornate d’oro e pietre preziose ai quali i Sinù non davano un valore intrinseco, ma piuttosto spirituale, connesso alla Divinità principale, il Sole. I monili d’oro, magnificamente lavorati, venivano lasciati insieme ad armi e tessuti nelle tombe per accompagnare il defunto nell’ultimo viaggio.
Purtroppo, come ho accennato prima, questa cultura fu annientata dal feroce Pedro de Heredia, che non solo saccheggiò spudoratamente le tombe Sinù, per appropriarsi dell’oro sepolto, ma torturò e trucidò vilmente moltissimi nativi, per farsi dire dove era nascosto altro oro.
Il conquistador Pedro de Heredia viene ricordato con una statua a Cartagena de Indias, ma poco si dice sulla sua reale e feroce natura di genocida di un popolo pacifico e tranquillo come i Sinù.
Oggi sono venuti alla luce questi importanti petroglifi, eredità della cultura Sinù, nei Monti di Maria.
Si spera che le autorità locali organizzino visite guidate e controllate ai siti archeologici, per evitare dannosi e stupidi vandalismi che danneggerebbero per sempre segni di antiche culture che devono essere valorizzate e studiate.

YURI LEVERATTO
Copyright 2009

Per altre informazioni sul genocidio dei Sinù clicca qui: http://www.yurileveratto.com/it/articolo.php?Id=13

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Dal 2003 un corpo celeste non definito orbita attorno alla terra


philip_k_dick_albemuth_1stusPorta la sigla enigmatica di “9U01FF6″. E’ un oggetto misterioso scoperto a metà anno 2003, che ancora non è stato identificato. Quindi dal 2003 abbiamo in orbita satellitare un USO (Unidentified Space Object). L’ultima notizia della sua presenza si ha dal sito
http://www.spaceweather.com, il quale nell’edizione del 27 ottobre 2009 riferisce che un misterioso oggetto è stato “scoperto” il giorno 26 ottobre 2009 dagli astronomi dell’Arizona, New Mexico e Spagna. Questo team di ricercatori, tutti specializzati nel cercare asteroidi in prossimità della Terra, ha avvistato questo misterioso oggetto, la cui orbita intorno al nostro pianeta è di 31 giorni. Le dimensioni dell’oggetto non identificato sono piccole e la sua forma è allungata. Si ipotizza che sia un frammento di un satellite delle missioni lunari Apollo. Il problema è che, nonostante gli sforzi di capire cosa sia, resta “non identificato” dall’anno 2003 (come riferito dal sito del CFA Center for Astrophysics di Harvard), data ufficiale della sua scoperta. Il mistero continua.

Fonti informazioni (in inglese) http://www.spaceweather.com/archive.php?view=1&day=27&month=10&year=2009

http://www.cfa.harvard.edu/~gwilliams/DASO/000000/DASO_000321.txt

In foto ricostruzione artistica di un UFO extraterrestre in orbita terrestre

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Documenti UFO declassificati in Ucraina

Anche dall’Ucraina arriva la notizia che saranno resi disponibili centinaia di casi di avvistamenti di UFO, precedentemente gestiti dal Centro Idrometeorologico delle Forze Armate dell’Ucraina. I documenti, precedentemente classificati, saranno gradualmente messi online dal sito ucraino http://www.ufodos.org.ua/ . L’associazione ufologica ucraina dichiara che saranno inserite circa 500 testimonianze oculari, in periodo che va dal XVII° secolo fino ad oggi. Il responsabile della UFODOS, Jaroslaw Socko, ha dichiarato che “la messa in visione dei files UFO in Ucraina è un evento di portata mondiale“. Uno degli scopi principali di questa declassificazione, conclude Socko, “è quella di porre l’attenzione dell’opinione pubblica sugli UFO, dal momento che (in determinate circostanze) formano uno stereotipo distorto sulla problematica(omini verdi, donne violentate da sconosciuti, gruppi di sette di contattati)”, riferisce l’esperto.

Per consultare l’archivio cliccare sul sito (in lingua ucraina) http://www.ufodos.org.ua/

Fonte di informazione (in ucraino) http://www.donbass.ua/news/technology/2009/10/28/v-seti-opublikovan-arhiv-svidetelstv-ob-ukrainskih-nlo.html

Alcuni documenti della declassificazione

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Sotto foto di presunto UFO risalente all’anno 1925

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Sotto una foto recente che mostra un UFO sigariforme

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L'incredibile ritrovamento di una città sommersa

Davvero sembra una storia uscita fuori da un film fantasy, ma pare sia proprio tutto vero. E in attesa di saperne di più, vi posto l'articolo originale che Carolina Stupino per l'Ansa, ha tratto dal Daily Telegraph.

Un avamposto greco o romano,inghiottito dalle acque e dimenticato per secoli: mentre faceva immersione al largo delle coste del Montenegro, Michael Le Quesne, un ragazzino britannico di 16 anni che si trovava in vacanza con i genitori, mai piu' avrebbe potuto immaginare l'importanza di quelle "strane pietre" che aveva scorto sott'acqua.

Ma il padre del ragazzo, un archeologo professionista, ha subito fiutato la scoperta, si e' tuffato, e a pochi metri di profondita' si e' trovato di fronte ad una serie di colonne di 90 centimetri di diametro, parte di un tempio o di un grande edificio pubblico che, considerate le dimensioni, potrebbe esser stato l'epicentro di un antico insediamento di epoca greca o romana.

Secondo quanto scrive il Daily Telegraph, in una giornata di sole - appena al largo della spiaggia di Maljevik, nei pressi della cittadina di Bar - le colonne sono visibili anche da una barca, ma nonostante cio' il sito archeologico, nel quale sono gia' stati trovati diversi artefatti, sembra esser rimasto indisturbato nei secoli.

"Mentre nuotavo, all'inizio ho pensato fossero soltanto pietre, ma poi ho notato che erano cilindriche, sapevo che non potevano essere naturali e allora ho chiamato mio papa'. Mi hanno sempre portato a vedere un sacco di rovine e se non fosse stato per quello non mi sarei soffermato", ha detto al giornale Michael, raccontando la sua eccezionale scoperta di un mese fa.

Tra pochi giorni il padre Charles tornera' in Montenegro insieme ad un'equipe di esperti del dipartimento di archeologia marittima dell'Universita' di Southampton. A loro si unira', a partire dalla prossima primavera, un team della Bbc guidato dall'archeologa Lucy Blue, autrice del programma di archeologia marittima Oceans.

"Se si tratta di un edificio monumentale, non fara' di certo parte di un piccolo insediamento. Non si tratta pero' di un'Atlantide perduta, perche' altrimenti ne avremmo gia' avuto nozione. Per ora e' un mistero. L'area si trova lungo una rotta commeriale importante, quindi potrebbe trattarsi di un porto, ha dello Le Quesne.

Secondo Blue, la costa del Montenegro "e' in gran parte un mondo sommerso inesplorato" e se il ritrovamento fosse davvero un tempio, l'importanza archeologica di quest'area - purtroppo finora poco tutelata dal punto di vista del patrimonio artistico - verrebbe confermata. Alcuni mesi fa un team di archeologi montenegrini e americani ha rinvenuto i resti di due navi da carico romane nella baia di Kotor, una delle destinazioni turistiche piu' popolari del Paese.

fonte ANSA

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Riuscito il primo volo di Ares : il successore degli shuttle


Il primo volo del successore degli Shuttle

Dovrebbe portare gli astronauti sulla stazione spaziale e in futuro sulla Luna

(Reuters)
(Reuters)
MILANO -
Il razzo che dovrebbe sostituire lo Shuttle per portare in orbita gli astronauti americani ha compiuto il suo primo collaudo ieri nel cielo di Cape Canaveral. Ares 1-X, così è stato battezzato, ha volato per soli sei minuti tracciando una grande parabola prima di finire nell’oceano Atlantico a 250 chilometri di distanza. Il balzo nell’atmosfera sino a 45 chilometri d’altezza potrà sembrare poca cosa ma è servito per collaudare una serie di tecnologie che serviranno nella prosecuzione del programma della Nasa. Il quale ha, fino a questo momento, l’obiettivo di tornare sulla Luna per il 2020. Il grande razzo bianco alto cento metri è decollato alle 11.30 di Cape Canaveral ed è il primo nuovo razzo a partire dalla storica base dopo il primo volo dello shuttle compiuto il 12 aprile 1981.

LA STRUTTURA - Ares 1-X è formato da due stadi. Il primo a propellente solido è derivato dai razzi ausiliari (i boosters) dello shuttle che aiutano la fase del volo. È solo un po’ più lungo, ma la tecnologia è la stessa. Il secondo stadio invece è a propellenti liquidi (idrogeno e ossigeno) e il motore «J-2X» è un perfezionamento dello stesso propulsore utilizzato nel secondo e terzo stadio del Saturn-V che portò gli uomini sulla Luna quarant’anni fa. Ares 1-X era un po’ diverso dalla versione definitiva. Il primo stadio era ancora nella versione corta usata nello shuttle ma la struttura era allungata come nella versione definitiva. Il secondo stadio era vuoto, senza motore, e alla sommità portava il modello della capsula Orion che ospiterà sei astronauti. Quando sarà utilizzata per il viaggio sulla Luna, invece, ne conterrà quattro. Nella missione lunare una altro razzo più grande, Ares V, porterà in orbita il modulo di sbarco Altair che si congiungerà con Orion.

COLLAUDO - Questo primo volo serviva, appunto, a collaudare la tecnologia di base del nuovo vettore e per questo era arricchito di 700 sensori che rilevavano pressioni, temperature sforzi di ogni genere alcune migliaia di volte al secondo. Anche perché durante il breve volo l’ugello di scarico del motore veniva manovrato per imporre dei cambiamenti nella traiettoria e sottoporre l’intera struttura a una serie di stress al fine di collaudare il tutto ben oltre le fatiche che dovrà affrontare in futuro in un volo normale. In particolare, poi, si è voluto misurare l’entità delle vibrazioni generate dal primo stadio e che dovranno essere smorzate per non creare danni o disturbi alla capsula abitata Orion.

PRIMO E ULTIMO? - Secondo alcuni critici questo era il primo e ultimo volo di Ares perché il presidente americano Obama sta valutando in queste settimane le proposte elaborate dalla commissione Augustine al fine di scegliere la strategia futura dell’America nello spazio. E potrebbe anche scegliere di utilizzare un altro razzo e cambiare il programma Constellation varato nel 2004 dal predecessore Bush, nel cui ambito era nato Ares. Per il suo sviluppo si prevedeva una spesa di 35 miliardi di dollari e per arrivare sino ad oggi, in tre anni se ne sono già spesi dieci di miliardi.

IL VOLO - Il volo di ieri è costato 445 milioni di dollari. Il primo stadio di Ares 1-X ha funzionato come previsto per due minuti e poi i computer di bordo hanno comandato la separazione dal secondo stadio che ha continuato la salita fino a 45 chilometri. Il primo stadio vuoto ha invece ha incominciato la caduta e 316 secondi dopo il decollo ad un’altezza di 4 mila metri ha iniziato la sequenza di apertura dei tre paracadute più grandi di quelli usati finora: ognuno ha un diametro di 50 metri. Lo stadio toccava la superficie oceanica 430 secondi dopo il lancio dove l’aspettava la nave per il suo recupero. Per il secondo stadio e il modello di capsula invece non era previsto il recupero. Il volo doveva essere effettuato martedì ma la presenza di troppe nubi lo hanno impedito. L’interazione tra il razzo e le nubi poteva provocare elettricità statica capace di interrompere le comunicazioni. L’effetto è chiamato dagli ingegneri «triboelettrificazione». E siccome l’obiettivo era quello di raccogliere il maggior numero di dati sul funzionamento attraverso la telemetria il cielo pulito era una condizione irrinunciabile. Martedì c’era stato anche un ritardo perché nell’area di sicurezza si era infiltrato un peschereccio che è stato allontanato. Ieri con tre ore di ritardo sull’orario stabilito, sempre a causa delle nubi, finalmente il grande razzo si è sollevato con il suo caratteristico tuono dalla rampa dalla quale fino a ieri partivano gli shuttle e negli anni Sessanta decollavano i giganteschi Saturno V per la Luna. Ora si aspettano le valutazioni tecniche e soprattutto la decisione politica della Casa Bianca, probabilmente entro novembre, per sapere quale sarà il futuro del razzo appena nato.

Giovanni Caprara

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La scoperta del monte Sinai

La notizia ha fatto il giro del mondo, sebbene in Italia sia passata in sordina e spesso mal interpretata, forse poco compresa. Peccato che la scoperta di cui si parla sia stata fatta da un'equipe italiana, guidata da un archeologo e docente universitario italoisraeliano, Emmanuel Anati. Ma si sa, nemo propheta in patria. E così abbiamo dovuto cercarlo e intervistarlo. Perché quello di cui si parla è niente meno che il monte Sinai. Non quello che ci ritroviamo sfogliando un atlante e cercando la penisola del Sinai in Egitto, ma quello vero di cui parla la Bibbia e sul quale centinaia di popolazioni millenni orsono pregavano, sacrificavano, immolavano. Ognuna verso il proprio dio, quasi come una torre di Babele delle religioni.

Professor Anati, ci spieghi un po' meglio di come hanno fatto alcuni media in che cosa consistono le vostre scoperte e ricerche

Nella ricerca che abbiamo condotto siamo giunti a diverse scoperte, tutte molto interessanti, per non dire sensazionali. La prima di queste riguarda un sito archeologico contenente resti di circa 10.000 anni fa. Nel sito si possono facilmente riscontrare diversi livelli di abitazione. Si tratta insomma di un abitato permanente, ci sono costruzioni in pietra massiccia, in quello che oggi è il cuore del deserto. Per cui possiamo dire che il clima della zona è notevolmente cambiato perché al giorno d'oggi da quelle parti non ci vivono neanche i beduini, è una zona in pieno deserto.

Qual è il valore scientifico di questa scoperta?

In poche parole è la rivelazione dell'esistenza di una cultura di popoli cacciatori che cominciavano a fare la raccolta di grani naturali, davano quindi inizio a una nuova era che era quella della produzione del cibo. Non si trattava ancora di una civiltà agricola, però abbiamo con questa scoperta la prova dell'esistenza di un villaggio di insediamento dove vivevano persone in permanenza all'interno di capanne ovali e non nomadi.

Quindi l'importanza risiede nell'antichità dell'epoca a cui risale questo villaggio?

Certo, consideriamo che si tratta di uomini del periodo Paleolitico, per lo più ritenuti nomadi o seminomadi. Ma qui arrivo al secondo aspetto della nostra ricerca. Abbiamo scoperto dei geoglifi, ossia delle scritture fatte con ciottoli sulla superficie della montagna Har Karkom. Si tratta di figure imponenti, lunghe anche più di una trentina di metri, che rappresentano in più occasioni anche l'elefante e il rinoceronte, animali che sono scomparsi da questa zona si stima da più di 20.000 anni. Per cui si tratterebbe dei più antichi geoglifi al mondo trovati finora. La cosa interessante è che c'è una ventina di questi geoglifi concentrati in quattro chilometri quadrati, per cui doveva essere una zona sacra. Queste figure avevano molto probabilmente finalità di tipo totemico e ciò rivela un aspetto dell'intellettualità dell'uomo paleolitico che era finora sconosciuto.

Lei però ha anche dichiarato che le "sorprese" per quel che riguarda il monte Har Karkom non finiscono qui

No, infatti. Un altro aspetto che è stato ulteriormente verificato è la presunta identità di questa montagna con il famoso monte Sinai di cui parla la Bibbia. Abbiamo riscontrato prima di tutto che l'Har Karkom è l'unica montagna di tutto il deserto del Neghev recante importantissimi resti di culto dell'età del bronzo. Ci sono più di cento santuari su questa montagna che è stata un luogo di culto per moltissimi anni e in particolar modo durante l'età del bronzo. Abbiamo trovato anche delle vestigia del culto del dio "Sin" che è la divinità identificata nella Luna. Abbiamo ipotizzato che il nome Sinai, che è un genitivo sin-ai ossia "di Sin". Questo dio Sin è probabilmente precedente, è un dio semitico mesopotamico che ha preceduto il dio degli ebrei.

C'è però anche un legame fra la tradizione ebraica e questi luoghi?

Sì, perché analizzando a fondo 32 punti della Bibbia nei quali si dà un'indicazione topografica dell'ubicazione del monte Sinai si è riscontrato che tutti in assoluto corrispondono all'ubicazione di Har Karkom. Purtroppo la cultura ebraica a quell'epoca non esisteva ancora in quanto tale e Mosé non ha lasciato il suo "biglietto da visita". È suggestivo però che si siano trovati oggetti di origine egiziana che dimostrano che chi li ha lasciati veniva dall'Egitto.

Quindi potrebbero essere stati lasciati dagli ebrei come afferma il libro dell'Esodo?

Può darsi, ma bisogna chiarire una cosa: l'archeologo confronta quello che ha trovato con i dati storici o con i testi anche sacri, come nel caso della Bibbia. Possiamo dire quindi con quasi certezza che questa montagna è quella che la Bibbia descrive come monte Sinai, ciò che non possiamo affermare scientificamente è che siano avvenute rivelazioni o miracoli su questa montagna, perché di quelli non abbiamo traccia. In poche parole non abbiamo trovato le Tavole della Legge, come alcuni hanno pensato. E l'Arca dell'Alleanza non credo nemmeno che sia passata da quelle parti.

Se da lì passarono anche gli ebrei essi hanno rappresentato soltanto uno degli episodi storici relativi a questo monte perché esso è stato sacro per molte altre popolazioni. La cultura ebraica è nata di fatto con Salomone, prima c'erano tribù di semiti che non avevano una cultura propria. Fra queste c'era una tribù chiamata "Israel" che peraltro è ricordata in un monumento egizio del 1.200 Avanti Cristo.

Per quale motivo avete cominciato a svolgere ricerche sull'Har Karkom?

L'idea nacque 29 anni fa a seguito delle mie scoperte. Infatti trovai delle incisioni rupestri il cui studio volli approfondire. Chiesi allora il permesso di poter ottenere una concessione di ricerca e ottenni ben 200 chilometri quadrati. Era il 1980, allora era piuttosto facile ottenere concessioni rispetto ad adesso. Da quelle mie ricerche crebbe sempre più la voglia di investigare il sito fino a quando non siamo giunti a queste importanti scoperte.

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Il meteorite in Lettonia? Una bufala



Il giallo del cratere formatosi in Lettonia per il presunto impatto di un meteorite e' stato risolto: era tutta una montatura. La bufala e' stata organizzata dalla compagnia telefonica svedese Tele2, presente in tutta Europa, per attirare l'attenzione di tutto il mondo sul Paese baltico, ha spiegato il direttore commerciale Janis Sprogis.

La trovata e' perfettamente riuscita e per 24 ore la Lettonia e' stata su tutte le prima pagine dei giornali. Chi non ha gradito affatto lo scherzo e' stato proprio il governo di Riga. Il ministro dell'Interno Linda Murniece ha condannato senza appello la trovata : "Stiamo calcolando il denaro che è stato speso. Sfortunatamente il denaro non ci ripaghera' per il fatto che Tele2 ha preso in giro la gente e le nostre strutture"

Tutto era iniziato domenica quando gli abitanti del villaggio di Mazsalaca, forse complici, hanno trovato un cratere, largo almeno 10 metri. I residenti avevano riferito che alle 17,30 di ieri hanno chiamato i vigili del fuoco per segnalare le fiamme.

fonte AGI

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Dopo 400 anni Nettuno torna a Galileo?

Una notizia “bomba” dall’Australia. Proprio dopo 400 anni dalle prime osservazioni galileiane, uno studio accurato dei disegni e delle note del sommo fisico pisano dimostrerebbe che proprio a lui spetterebbe la scoperta del pianeta Nettuno, ben 234 anni prima di quanto normalmente pensato.Il professor David Jamieson, direttore della Scuola di Fisica dell’Università di Melbourne, ha da poco fatto un annuncio che ha dello straordinario. Tra le note delle sue osservazioni, Galileo Galilei avrebbe annotato la scoperta di un nuovo pianeta, che altri non era che Nettuno
.



galileo
Nel 1612 e 1613 Galileo stava seguendo le lune medicee di Giove e riportava metodicamente tutte le osservazioni. Durante una serie di notti egli riporta la presenza di una “stella vicina” che non è ritrovabile in nessun catalogo moderno. Recenti simulazioni al computer hanno dimostrato che suddetta stella occupava proprio la posizione che avrebbe dovuto presentare il pianeta Nettuno.

Come ben sappiamo, un pianeta differisce da una stella soprattutto a causa del suo moto intorno al Sole che causa, alla distanza di Nettuno, un lento, ma visibile, movimento rispetto alle stelle fisse. Ebbene il 28 gennaio 1613 Galileo annotò precisamente che quella strana stella si era mossa rispetto alle sue compagne. Oltretutto esiste una macchiolina scura in un disegno che riproduce le sue osservazioni del 6 gennaio dello stesso anno. Proprio nella posizione che oggi sappiamo doveva essere occupata dal pianeta sconosciuto. Galileo aveva sicuramente subodorato qualcosa, ma l’apparenza stellare dell’oggetto lo aveva fatto dubitare. D’altra parte ciò faceva parte del metodo scientifico introdotto da lui stesso: provare e riprovare prima di poter anche solo formulare un’ipotesi. Il professor Jamieson ritiene che se si provasse che la macchia scura del 6 gennaio fosse stata aggiunta il 28 gennaio, questa sarebbe la prova inconfutabile dell’ipotesi galileiana sull’esistenza di un nuovo pianeta. Infatti, la ricerca accurata da parte del sommo pisano di una posizione “precedente” della strana stella in accordo con le leggi del moto planetario eliminerebbe qualsiasi dubbio.

Attualmente è in atto il tentativo di datare esattamente il momento dell’aggiunta, che sembrerebbe possibile con i metodi odierni. Si cerca nel frattempo anche un’altra evidenza. Galileo normalmente mandava un anagramma ai suoi colleghi quando scopriva qualcosa di eclatante e di nuovo, come capitò per le fasi di Venere e per le strutture anomale attorno a Saturno. Forse da qualche parte si potrebbe ritrovare l’anagramma relativo a Nettuno.

In ogni caso è indiscusso che Galileo osservò Nettuno per primo e, conoscendolo bene, non ho molti dubbi che il suo occhio esperto non avesse presto compreso che si trattava di una “stella vagabonda”. Se tutto fosse provato, i francesi e gli inglesi non avrebbero più di che discutere: Galileo li avrebbe abbondantemente preceduti di ben 234 anni!




Vincenzo Zappalà
www.astronomia.com
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Ida non è l’anello mancante

Lo scheletro di Ida (AP Photo/Mary Altaffer)

Lo scheletro di Ida (AP Photo/Mary Altaffer)

Nature ha pubblicato uno studio condotto da Erik Seiffert che smentisce l’ipotesi per cui il fossile di Darwinius masillae “Ida” sarebbe l’anello mancante fra i primati e gli esseri umani e le scimmie.

In verità non è una sorpresa: la scoperta di Ida, avvenuta lo scorso maggio, venne prontamente accompagnata da una campagna pubblicitaria completa di libro e documentario con lo scopo di sostenere quella affrettata ipotesi. Addirittura prima di una qualche pubblicazione scientifica.

Gli esperti protestarono, dicevano che Ida non fosse nemmeno un vicino parente. E ora una nuova analisi supporta la loro reazione.

Ida è uno scheletro della dimensione di un gatto scoperto in Germania e risale a 47 milioni di anni fa. Rappresenta un primate precedentemente sconosciuto chiamato Darwinius masillae. Gli scienziati che ne annunciarono la scoperta non lo dichiararono un diretto antenato di uomini e scimmie antropomorfe, ma sostennero che appartenesse allo stesso grande gruppo evolutivo.

Le nuove analisi dimostrano invece che il Darwinius non appartenne alla nostra categoria di primati, ma all’altra principale – quella dei lemuri. Precisamente, fa parte della famiglia degliAdapidi. E non ha lasciato discendenti moderni.

Qui uno speciale del Guardian.

fonte

Il teschio di Ida (Atlantic Productions)
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Documenti declassificati in Brasile affermano “nel 1986 ci fu invasione UFO”

centroufologicotaranto

img_era_moderna_189Quello che vi mostriamo è uno stralcio di documento ufficiale (che ha un totale di 8 pagine), recentemente declassificato, che è molto interessante. Parla della cosiddetta “Notte ufficiale degli UFOs in Brasile”. Tutto a inizio il giorno 19 Maggio 1986, quando improvvisamente su tutti i radars civili e militari appaiono dei “blips” inspiegabili. Era una formazione di 21 UFOs, tutti dal diametro di circa 100 metri, che apparve sopra i maggiori aeroporti del Paese. Furono mandati in volo, in azione di “scramble” (intercettamento), dei caccia Mirage ed F5 che videro anche visualmente gli strani oggetti. Gli avvistamenti e gli inseguimenti durarono per ore. All’epoca fu promesso, dall’allora ministro dell’Air Force brasiliano Octavio Moreira Lima, l’immediata divulgazione dei files secretati ma ciò non avenne subito, ma dopo 23 anni. Ma ne è valsa la pena. Nel documento (scritto il giorno 2 Giugno 1986) si illustra che:

Sulla base dell’analisi degli eventi sopra segnalati, è opinione di questo comando che, secondo le informazioni ottenute dai controllori di volo, i piloti e in precedenza elaborate relazioni provenienti dal I° Cindacta (Air Traffic Control e Aerial Defense Center), è che ci sono alcuni punti di coincidenza per quanto riguarda gli echi radar, accelerazioni, illuminazione, velocità e comportamento, sia con l’individuazione tecnica o da contatto visivo.

Alcuni di questi punti di coincidenza sono quei fenomeni che hanno esibito alcune caratteristiche costanti, come:

a. Produzione di echi radar, non solo per l’Air Defense System, ma anche contemporaneamente per gli aerei intercettori,con confronti visivi da parte dei piloti.

b. Variazione di velocità, da subsonica a supersonica, oltre a capacità di oscillazione.

c. Varia altitudine, da quella bassa FL-050 ad altitudini superiori come FL-400.

d. A volte sono stati visti come di colore bianco, luci verdi e gialle, e talvolta senza nessuna indicazione luminosa.

e. Improvvisa accelerazione e decelerazione

E c’è di più. Nel punto 3 della parte sulle Considerazioni Finali (a pagina 8), il presente rapporto dice chiaramente che ‘il fenomeno (UFO) è solido e riflette una forma di intelligenza’. Vedere sotto il testo per intero:

A conclusione dei fatti osservati, costanti in quasi tutte le presentazioni, è parere di questo Comando che il fenomeno è solido e riflette una forma di intelligenza, dalla sua capacità di seguire e tenere la distanza dagli osservatori, come pure volare in formazione, e non sono necessariamente velivoli con equipaggio.

C’è che dire, un documento importante con una conclusione che non da adito a dubbi. Qualcosa di ignoto ed intelligente ha gettato nel caos più completo gli aeroporti brasiliani, bloccandoli, quella notte di Maggio 1986. Erano degli UFOs strutturati, dal diametro di 100 metri. Un caso che passa alla storia come uno dei più probanti ed incontrovertibilmente reali.

Sotto la prima pagina del documento in questione

BRASILE 1

Sotto la parte evidenziata della conclusione che attesta che gli UFOs avvistati erano solidi e che denotavano una “forma di intelligenza”

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Sotto la firma dell’ufficiale del rapporto

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Video - Una meteora cade in Lettonia


E' classificato per ora come non identificato - ma con molte probabilità è un meteorite - l'oggetto precipitato ieri dal cielo nel Nord dell'Estonia, nella zona paludosa di Mazsalaca , vicino al confine con l'Estonia, che ha scavato un cratere profondo 15 metri e largo cinque.

Il capo dei Vigili del Fuoco della repubblica baltica, la signora Inga Vetere, dopo un sopralluogo ha comunicato che il livello di radioattività attorno all'enorme buco creatosi ieri sera è normale.

Ma la zona - nei pressi di una fattoria, fortunatamente però nel mezzo di un campo - è stata transennata e in giornata una squadra di geologi dovrebbe stabilire con certezza se si è trattato di un meteorite.

Il geologo Uldis Nulle, del Centro per l'ambiente, la geologia e la meteorologia nazionale, precisando che dal cratere, che ha visitato per la prima volta ieri sera, esce ancora fumo.

"La mia prima impressione e' che si tratti di un meteorite. Tutto sembra confermarlo", ha affermato Nulle, aggiungendo che saranno prelevati dei campioni di terreno che saranno analizzati a Riga nei prossimi giorni. I residenti della zona hanno riferito di aver visto un oggetto precipitare.

fonte ap-nuova europa - adnkronos


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