CAMBAY: LE PROVE SOMMERSE DI UN PASSATO SENZA TEMPO


Dopo Yonaguni in Giappone, individuate anche in India le tracce di un’antichissima civiltà protostorica. Le ultime indagini di Graham Hancock.


di Enrico Baccarini

A distanza di qualche mese dalla loro scoperta, si è reso necessario aggiornare il vasto pubblico di Archeomisteri riguardo l’eccezionale ritrovamento delle due città sottomarine effettuato nel Golfo di Cambay, in India.
Poco tempo dopo la divulgazione della notizia si sono accesi in tutto il mondo aspri dibattiti sulla possibile veridicità e genuinità dei reperti e dei dati ottenuti dal N.I.O.T., l’Istituto indiano che per primo ha evidenziato le anomalie sottomarine.

Questi dati testimonierebbero un insediamento urbano civilizzato risalente a circa 9.500 anni fa, e attualmente situato a circa 36 metri di profondità al di sotto dell’Oceano Indiano. Tuttora uno stretto riserbo domina la scoperta, ma i dati resi disponibili sembrerebbero incontestabilmente dimostrare l’origine artificiale di tali strutture sottomarine. Se tali elementi dovessero ricevere ulteriori conferme, potremmo assistere ad una vera e propria rivoluzione archeologica di portata epocale.

Fino ad oggi, infatti, si è sempre ritenuto che i primi grandi insediamenti urbani fossero databili ad un periodo non precedente al 2.500 - 3.000 a.C., fatta eccezione per Gerico in Palestina, databile all’incirca alla stesso periodo cui risalirebbero le strutture individuate a Cambay.
La scoperta delle due città sommerse dell‘India potrebbe pertanto rivoluzionare drammaticamente le opinioni fino ad oggi accettate come dogma dell’ortodossia archeologica.

Ci troveremmo davanti ad un cambiamento totale nella datazione delle origini stesse dei primi insediamenti organizzati umani.
Attualmente molti studiosi e molte organizzazioni, stanno cercando di far convergere da tutto il mondo i propri sforzi e le proprie attrezzature di ricerca verso quelle che potrebbero dimostrarsi come le antiche vestigia di una civiltà scomparsa.


Antiche testimonianze storiche dell’esistenza di queste due città potrebbero essere già state identificate da alcuni ricercatori indiani che, rileggendo i "Rig Veda", i testi sacri della religione Indù , si sarebbero trovati davanti in diversi passi a riferimenti espliciti riguardo "due grandi città dislocate alla foce di due grandi fiumi", città che sarebbero state il fulcro di una iniziale civiltà indiana.

Da tali assunti numerosi ricercatori si sono mossi per capire quali potessero essere state le cognizioni, la tecnologia e la struttura di questa antica civiltà.
Da quanto è stato possibile ottenere attraverso il sonar ed altri strumenti tecnici utilizzati dal N.I.O.T., la possibilità che le due città siano ancora intatte sembrerebbe essere notevolmente alta, anche se ci troviamo in una regione molto attiva dal punto di vista tettonico.

Il geologo Dr. Glenn Milne, della "University of Durham", ha recentemente condotto alcuni studi riguardo i cambiamenti del livello marino susseguitisi nella zona di Cambay. In base ai dati ottenuti, Milne afferma che ci possiamo ragionevolmente trovare davanti a non meno di dieci metri di depositi sedimentari, sia tettonici che di altro genere, che avrebbero coperto le strutture appartenute alle due città.

Le strutture quindi si potrebbero essere conservate discretamente anche dagli agenti distruttivi marini.
L’analisi compiuta sugli oggetti recuperati durante le diverse missioni del N.I.O.T. ha permesso di mettere subito in risalto come lo stesso materiale possa essere difficilmente attribuito al semplice intervento naturale ed erosivo-distruttivo della corrente.

Ovviamente ci troviamo davanti a dei reperti plausibilmente artificiali risalenti a non meno di 9.000 anni fa, gli studiosi sono quindi a confrontarsi con l’arduo compito di dover datare e studiare manufatti logorati da un tempo immemorabile. Tra la notevole quantità di materiale recuperato fino ad oggi è stato possibile analizzare in particolare una struttura eterogenea costituita da una matrice di roccia in cui sono stati identificati frammenti di vasellame di natura artificiale.

È interessante notare come un altro reperto rechi incisi sulla sua superficie chiari segni di uno strumento umano. Un pezzo di legno rinvenuto sul fondale in esame, infatti, presenta chiari segni di una incisione effettuata attraverso strumenti taglienti e precisi. Il rinvenimento di altro vasellame, in buona parte logorato dalle correnti marine, tenderebbe a testimoniare l’effettiva natura artificiale di buona parte del materiale fino ad ora raccolto.

Anche se tali prove tenderebbero a testimoniare la possibilità di un intervento umano all’origine sia di tali manufatti che delle strutture rilevate dal sonar, ci sono ancora dei ricercatori che negano espressamente la quantità di prove fino ad oggi presentata, riconducendo il tutto alla nostra semplice volontà "di vedere l’origine umana in tutto quello che è naturale". Così si espresso un noto ricercatore inglese, fin dall’inizio su posizioni di totale contestazione dei risultati ottenuti dai vari team di ricerca avventuratisi "in situ".

Le stesse "strisciate" ottenute dal sonar ci mostrano incontrovertibilmente tutta una serie di strutture anomale adagiate sul fondo marino del golfo di Cambay. Proprio queste anomalie, comunque definite estremamente regolari, hanno permesso le prime scoperte ed i primi sopralluoghi.
Anche se la difficoltà di leggere un tracciato sonar si può presentare ai più, è indubbio che la rappresentazione di questo fondale ci mostra strutture estremamente geometriche e anomale rispetto alle aree circostanti.

Proprio queste regolarità hanno attirato l’attenzione dei primi studiosi avventuratisi sul posto.
La possibilità di trovarci, quasi sicuramente, davanti a delle costruzioni appartenenti ad una civiltà definita dagli studiosi "pre-Harappa", (in riferimento alla civiltà Harappa, tra le più antiche conosciute, il cui apogeo si colloca tra il 2.600 ed il 1.900 a.C.), potrebbe spiegare il notevole grado tecnologico e architettonico dimostrato successivamente dalla stessa civiltà Harappa, considerata in effetti fino ad oggi come "nata dal nulla".

Certamente la scoperta di questi due siti sottomarini ha destabilizzato, e sta destabilizzando, profondamente molte delle concezioni e dei dogmi fino ad oggi innalzati dall’archeologia ufficiale, dimostrando come possa essere realmente esistita una cultura avanzata prima di quanto la storia abbia mai creduto, risalente alla fine dell’ultima Era Glaciale.

Nostro gradito ospite a San Marino, al "3° Simposio Mondiale sulle origini perdute della Civiltà e gli anacronismi storico-archeologici", il brillante scrittore e ricercatore britannico Graham Hancock, coadiuvato dalla propria collaboratrice fotografica, e moglie, malaysiana, Santha Faiia, ha appena realizzato dopo mesi di indagini continue il monumentale volume di oltre 700 pagine, riccamente illustrato da foto, disegni e piantine, "Underworld", letteralmente "Il mondo di sotto". Un circostanziato rapporto interamente dedicato all’antica civiltà protostorica che alla fine dell’Era Glaciale è stata cancellata dalle acque oceaniche, il cui livello era notevolmente inferiore all’attuale.

Le ricerche di Hancock, comprensive di una serie di indagini sottomarine condotte direttamente dall’autore in tutto il mondo, dal Mediterraneo all’America, e dall’India a Yonaguni nell’arcipelago nipponico, si commentano da sole.
Qui, in attesa dell’edizione italiana di "Underworld", siamo lieti di offrirne ai lettori italiani una doverosa anticipazione fotografica d’insieme.
fonte-www.edicolaweb.net

0 commenti, commenta qui: