Italiani riscrivono le origini degli Indiani d’America


I primi abitanti del Nuovo Mondo sono arrivati dall’Asia tra 15 e 17 mila anni fa, seguendo due rotte distinte con lo stesso punto di partenza: la Beringia, il vasto territorio ora sommerso che durante l’ultimo picco glaciale connetteva l’America all’Asia. A riscrivere le origini degli Indiani d’America è un maxi-studio guidato dai genetisti dell’università di Pavia, che con la loro ricerca si guadagnano oggi la copertina della rivista “Current Biology”. La ricerca ha impegnato un team internazionale coordinato da Antonio Torroni del Dipartimento di Genetica e microbiologia dell’ateneo lombardo, e getta nuova luce sul complesso caleidoscopio di lingue e culture dei Nativi americani.

A distanza di oltre 6 secoli dalla scoperta dell’America ad opera di Cristoforo Colombo, la storia del grande continente torna così a incrociarsi con quella italiana. Grazie a uno studio “tricolore” che sfida le precedenti convinzioni sul tema: in particolare l’idea che i primi colonizzatori delle Americhe appartenessero ad un’unica popolazione. Analizzando per la prima volta al più alto livello di risoluzione molecolare due rari lignaggi del Dna mitocondriale (l’mtDna, genoma ereditato esclusivamente per via materna), appartenente a Nativi americani moderni del Nord, Centro e Sud America – si legge in una nota dell’università di Pavia – i genetisti degli atenei di Pavia e Perugia, in collaborazione con i colleghi della Sorenson Molecular Genealogy Foundation di Salt Lake City (Utah, Usa) hanno identificato due percorsi migratori ben distinti che a suo tempo hanno marcato le fasi iniziali della colonizzazione umana del continente americano.

«L’origine dei primi americani è un argomento molto controverso e dibattuto tra gli archeologi ed ancor più tra i linguisti – evidenzia Torroni – Il nostro studio rivela che un primo gruppo è migrato dalla Beringia seguendo la costa dell’Oceano Pacifico e arrivando in qualche decina di generazioni fino alla punta meridionale del Sud America, mentre un secondo gruppo, sempre dalla Beringia, sarebbe penetrato nel Nord America attraverso il corridoio di terra che, a seguito del miglioramento delle condizioni climatiche, andava aprendosi ad Est delle Montagne rocciose tra i ghiacciai canadesi». In altre parole, mappando la storia del primo popolamento umano del Nuovo Mondo, gli autori della ricerca “fotografano” l’arrivo più o meno concomitante di più gruppi umani con radici genetiche in parte diverse. Fatto che implica l’esistenza di una diversità linguistica e culturale tra i Paleo Indiani, fanno notare gli esperti.

Nel marzo scorso – ricorda la nota – lo stesso gruppo di ricerca aveva pubblicato uno studio che, per primo, sintetizzava tutte le sequenze note del Dna mitocondriale dei Nativi americani in un unico albero evolutivo. Rivelando che il 95% dei Nativi americani discende da 6 linee femminili ancestrali. Per stabilire il momento in cui i primi colonizzatori umani entrarono in America, venne utilizzato un orologio molecolare che individuò una breve finestra temporale tra 15 e 17 mila anni fa. Per entrambi gli studi gli scienziati hanno setacciato il database della Sorenson Foundation – la più fornita collezione mondiale di informazioni genealogiche su base genetica, contenente Dna raccolti in più di 170 Paesi – alla ricerca di mtDna appartenenti a lignaggi di Nativi americani. In seguito, utilizzando tecniche messe a punto all’università di Pavia, è stato analizzato l’intero genoma mitocondriale di ogni campione con un approccio di avanguardia.

«I 6 principali lignaggi genetici (pan-americani) sono distribuiti ovunque nelle Americhe», dice Ugo Perego della Sorenson Foundation, attualmente dottorando in Scienze genetiche e biomolecolari a Pavia. «Perciò abbiamo deciso di analizzare in dettaglio due linee genetiche più rare e quasi sconosciute, che potessero definire in maniera più nitida i primi eventi di colonizzazione umana del continente americano. Così abbiamo scoperto che questi due tipi di Dna mitocondriale marcavano due rotte di migrazione nettamente distinte», spiega.

«Questo studio non conclude il dibattito», aggiunge Alessandro Achilli dell’università di Perugia, «ma le implicazioni delle nostre scoperte sono significative», assicura. «Per esempio – precisa – i reperti e le diverse tecnologie osservate nei siti archeologici del Nord America possono ora essere correlate con i gruppi umani arrivati seguendo i due percorsi migratori, piuttosto che con un differenziamento avvenuto in sito. Stiamo ora analizzando con le stesse metodiche le linee genetiche pan-americane, e ci aspettiamo che la distribuzione dei loro sottogruppi ricalchi quella osservata per le due linee rare», conclude lo specialista.

Fonte: http://www.lastampa.it/


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