La rivoluzione del calcestruzzo ultradenso
La comprensione dei meccanismi di deformazione viscosa a scala nanoscopica promette di rivoluzionare i principi di progettazione strutturale
Il principale fattore che limita la vita dei manufatti in cemento è rappresentato dalla deformazione viscosa del calcestruzzo (creep), ossia la deformazione che col tempo avviene quando il materiale è sottoposto a sforzo. Il fenomeno è ben noto, ma i meccanismi che lo innescano e le esatte modalità con cui avviene non erano finora conosciute nei dettagli. Ora, una ricerca condotta da due ingegneri del Massachusetts Institute of Technology e dell'Università di Parigi-Est e pubblicata sui "Proceedings of the National Academy of Sciences" (PNAS) dimostra che essa è causata dal riarrangiamento a nanoscala delle particelle che lo costituiscono.
"Finalmente possiamo spiegare come avviene questa deformazione", ha detto Franz-Josef Ulm, uno degli autori dell'articolo. "Non possiamo prevenirla, ma possiamo rallentarla aumentando la durata del cemento e prolungando moltissimo la vita delle strutture. La nostra ricerca getta le basi per un ripensamento dell'ingegneria delle costruzioni da una prospettiva nanoscopica".
Nella nuova ricerca Ulm e il coautore Matthieu Vandamme spiegano che quando sono mescolate con l'acqua le particelle di silicati di calcio idrati (CSH) si autoassemblano in due distinte fasi strutturali chimicamente simili, con densità prossime ai due massimi possibili per oggetti di conformazione sferica, rispettivamente del 64 e del 74 per cento. La deformazione viscosa del cemento si verifica quando le particelle di CSH si ridispongono in modo da alterare la densità, con alcune particelle impacchettate più densamente e altre meno.
I ricercatori spiegano inoltre che è possibile indurre una terza fase, molto più densa, dei CSH manipolando la miscela con altri minerali, ricavati dalle scorie di abbattimento dei fumi dell'industria dell'alluminio, opportunamente trattati. Questa addizione consente la formazione di ulteriori nanoparticelle, più piccole, che si inseriscono fra i microgranuli di CSH, che altrimenti possono riempirsi di acqua. In questo modo la densità dei CSH aumenta fino all'87 per cento, rallentano notevolmente i movimenti dei granuli di CSH.
Nella loro ricerca, Ulm e Vandamme hanno infatti dimostrato sperimentalmente che la velocità della deformazione viscosa è logaritmica o, detto in altri termini, che rallentando la velocità di deformazione, la durata del cemento cresce esponenzialmente. Così, osservano i ricercatori, una vasca di contenimento per scorie nucleari - che, se costruita secondo i criteri attuali, avrebbe una durata a prova di deformazione viscosa di 100 anni - con il ricorso al nuovo calcestruzzo ultradenso vedrebbe aumentare la propria vita sicura fino a 16.000 anni.
Ulm ha sottolineato inoltre che il ricorso al calcestruzzo ultradenso avrebbe due altri effetti positivi. Il primo riguarda la progettazione delle strutture: "Finora, quanto più sottile è la struttura, tanto più è sensibile alla deformazione viscosa. Grazie a questa nuova comprensione del calcestruzzo potremmo costruire addirittura strutture a filigrana: leggere, eleganti, forti, e che richiedono molto meno materiale".
Inoltre si avrebbero anche effetti positivi sull'ambiente: si stima che dal 5 all'8 per cento delle emissioni di CO al mondo derivino dall'industria del cemento. Il minor uso di materiali e la necessità di sostituire un numero minore di strutture usurate si ripercuoterebbe in modo positivo su questo dato.
"Finalmente possiamo spiegare come avviene questa deformazione", ha detto Franz-Josef Ulm, uno degli autori dell'articolo. "Non possiamo prevenirla, ma possiamo rallentarla aumentando la durata del cemento e prolungando moltissimo la vita delle strutture. La nostra ricerca getta le basi per un ripensamento dell'ingegneria delle costruzioni da una prospettiva nanoscopica".
Nella nuova ricerca Ulm e il coautore Matthieu Vandamme spiegano che quando sono mescolate con l'acqua le particelle di silicati di calcio idrati (CSH) si autoassemblano in due distinte fasi strutturali chimicamente simili, con densità prossime ai due massimi possibili per oggetti di conformazione sferica, rispettivamente del 64 e del 74 per cento. La deformazione viscosa del cemento si verifica quando le particelle di CSH si ridispongono in modo da alterare la densità, con alcune particelle impacchettate più densamente e altre meno.
I ricercatori spiegano inoltre che è possibile indurre una terza fase, molto più densa, dei CSH manipolando la miscela con altri minerali, ricavati dalle scorie di abbattimento dei fumi dell'industria dell'alluminio, opportunamente trattati. Questa addizione consente la formazione di ulteriori nanoparticelle, più piccole, che si inseriscono fra i microgranuli di CSH, che altrimenti possono riempirsi di acqua. In questo modo la densità dei CSH aumenta fino all'87 per cento, rallentano notevolmente i movimenti dei granuli di CSH.
Nella loro ricerca, Ulm e Vandamme hanno infatti dimostrato sperimentalmente che la velocità della deformazione viscosa è logaritmica o, detto in altri termini, che rallentando la velocità di deformazione, la durata del cemento cresce esponenzialmente. Così, osservano i ricercatori, una vasca di contenimento per scorie nucleari - che, se costruita secondo i criteri attuali, avrebbe una durata a prova di deformazione viscosa di 100 anni - con il ricorso al nuovo calcestruzzo ultradenso vedrebbe aumentare la propria vita sicura fino a 16.000 anni.
Ulm ha sottolineato inoltre che il ricorso al calcestruzzo ultradenso avrebbe due altri effetti positivi. Il primo riguarda la progettazione delle strutture: "Finora, quanto più sottile è la struttura, tanto più è sensibile alla deformazione viscosa. Grazie a questa nuova comprensione del calcestruzzo potremmo costruire addirittura strutture a filigrana: leggere, eleganti, forti, e che richiedono molto meno materiale".
Inoltre si avrebbero anche effetti positivi sull'ambiente: si stima che dal 5 all'8 per cento delle emissioni di CO al mondo derivino dall'industria del cemento. Il minor uso di materiali e la necessità di sostituire un numero minore di strutture usurate si ripercuoterebbe in modo positivo su questo dato.
fonte-lescienze.espresso.repubblica.it
Posted in: ARCHITETTURA, NATURA, RICERCA, TECNOLOGIA on martedì 16 giugno 2009 at alle 01:16