L'eredità della Sibilla di Cuma


antro della Sibilla CumanaGli indovini del mondo antico erano molti. Presso le sedi oracolari era diffusa la credenza che fossero esistite anche delle interpreti femminili della volontà divina, non soggette al trascorrere del tempo, isolate dal mondo e poco inclini a mostrarsi. Erano le Sibille.
Lo scrittore Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) elenca bendieci Sibille: la persiana, l'eritrea (da Eritre, in Libia), l'ellespontia, la frigia, lacimmeria, la libica, la delfica, la samia, la cumana, latiburtina. Qualcuno pensava che, in realtà, si trattasse di un'unica Sibilla che si spostava nei diversi luoghi.
La Sibilla Cumana è sicuramente una delle figure oracolari più affascinanti della letteratura latina. La prima menzione di questa Sibilla è in Licofrone, autore greco del III secolo a.C., ma in realtà essa apparve già nel VI secolo quando Tarquinio il Superbo, re di Roma, avrebbe acquistato una cospicua raccolta di oracoli, i Libri Sibillini, scritti su foglie di palma e redatti in esametri greci. La Sibilla offrì nove libri a Tarquinio, il quale trovò il prezzo elevato. Allora la Sibilla ne bruciò tre offrendogli di nuovo i sei rimasti. Tarquinio rifiutò e la Sibilla nè bruciò altri tre. Infine il re accettò di acquistare gli ultimi tre libri rimasti al prezzo di tutti e nove.
Michelangelo - la Sibilla CumanaI Libri Sibillini erano il testo più importante della religione arcaica romana e venivano consultati in casi eccezionali dal collegio sacerdotale dei Quindecemviri. Erano custoditi nel tempio di Giove Capitolino e bruciarono nell'incendio del Campidoglio dell'83 a.C.. Furono in seguito ricomposti e collocati da Augusto nel tempio di Apollo sul Palatino, dove rimasero finchè furono distrutti dal generale Stilicone, nel IV secolo d.C..
I più antichi riferimenti all'antro della Sibilla di Cuma si trovano in un testo pseudoaristotelico. L'invocazione più famosa è quella di Virgilio (70-21 a.C.) che, nel VI libro dell'Eneide descrive l'antro e la figura della Sibilla, maestosa sacerdotessa di Apollo e di Ecate Trivia. Nei secoli successivi il cosiddetto pseudo-Giustino (IV secolo d.C.), Procopio e Agathias (due storici bizantini del VI secolo d.C.), dettero una descrizione dell'antro della Sibilla, per quanto poco attendibile.
Una maggiore attenzione è da dedicare ad altre due fonti che sembrano, però, escludere l'esistenza di una sede oracolare della Sibilla a Cuma, almeno in età tarda. Una di queste fonti è Pausania, che asserisce che i cumani potevano mostrare solo le ceneri della Sibilla, custodite in un'urna all'interno del tempio di Apollo. Un'altra fonte è contenuta nella "Vita di Clodio Albino" (testo anonimo del IV-V secolo d.C.), secondo la quale questo generale del II secolo d.C., rivale di Settimio Severo, si recò ad interrogare l'oracolo nel tempio di Apollo a Cuma.
Anche nel Medioevo si cercò di individuare la sede oracolare della Sibilla, soprattutto sulla scorta di Virgilio e delle indicazioni contenute nell'Eneide. In questo modo si arrivò allesponde del lago d'Averno. Questa identificazione fu ripresa da Petrarca e Boccaccio e restò valida per tutto il Rinascimento. Nel Settecento anche Goethe e Mozart ritenevano che l'altro oracolare si trovasse sulle sponde del lago d'Averno.
Il foro di CumaLe indagini archeologiche vere e proprie, tese ad individuare la sede dell'Oracolo, furono iniziate nell'Ottocento. Nel 1932 si scoprì l'antro ma recentemente è stata avanzata l'ipotesi che il lungo corridoio fosse stato costruito, nel IV-III secolo a.C., a scopo militare. L'antro, secondo i moderni archeologi, andrebbe cercato vicino al tempio di Apollo, dove è situato un ambiente quasicompletamente sotterraneo noto come "cisterna greca". Il lungo corridoio trapezoidale, individuato e riconosciuto come antro della Sibilla di Cuma da Amedeo Maiuri, ha andamento rettilineo ed è lungo 131 metri, completamente scavato nel tufo. Il taglio trapezoidale risale, forse, alla seconda metà del IV secolo a.C., il pavimento fu abbassato successivamente. Attraverso questo lungo corridoio si giunge in una sala rettangolare. Qui un vestibolo anticamente chiuso da un cancello, come mostrano i fori lascaiti dagli stipiti, introduce, a sinistra, in un piccolo ambiente suddiviso in tre celle. Questo sarebbe stato l'oikos endotatos, la "stanza remota", in cui la Sibilla, seduta su un trono, pronunciava i suoi vaticini.
Per quanto riguarda le vaticinazioni, Virgilio riferisce che la Sibilla guidò Enea sulle rive del lago d'Averno per interrogare l'ombra di Anchise, padre dell'eroe. Le profezie furono comunque ambigue. Si sa che alcune volte i vaticini venivano scritti, parola per parola, su diverse foglie che venivano, poi, sparpagliate al vento.
I pagani dimenticarono la Sibilla nel corso dei primi secoli della nostra era, ma l'Oracolo, già nel II secolo a.C., era stata assorbita dalla tradizione giudaico alessandrina, che recuperò l'uso degli oracoli e le diede voce tramite alcuni testi in lingua greca detti "Oracoli sibillini".

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