I delfini, che brave persone!


I delfini sono persone? Si differenziano da noi, uomini sedicenti sapienti, solo perché vivono in acqua? Le domande, solo in apparenza provocatorie, sono rimbalzate più volte, racconta la rivista Science, all’annuale convegno dell’Associazione Americana per l’Avanzamento delle Scienze (AAAS) che si è tenuto tra il 18 e il 22 febbraio scorso a San Diego in California. La questione è stata discussa da etologi, neuroscienziati, filosofi. E non è arrivata a una conclusione non per colpa dei delfini, che sembrano avere tutti i requisiti “giusti”. Ma per colpa di noi umani, che non abbiamo ancora una definizione precisa del concetto di persona.
Prima di spiegare gli argomenti di chi ritiene che i delfini siano “persone”, ancorché non umane, cerchiamo di capire perché, secondo alcuni, hanno i “requisiti giusti” almeno per candidarsi a esserlo. Cosa intendiamo, dunque, per requisiti “giusti”?
Giusto è un aggettivo largamente intriso di soggettività e di antropocentrismo. Insomma, lo usiamo solo per comodità. Poiché noi, membri della specie Homo sapiens, ci riteniamo”persone” a causa delle nostre capacità cognitive, riteniamo che siano “giusti” i requisiti analoghi ai nostri.
Molti animali sembrano avere alcuni requisiti cognitivi “giusti” (analoghi ai nostri). I corvi hanno una capacità di risolvere problemi davvero sbalorditiva. Cani, cavalli, elefanti possiedono forme diverse di intelligenza che spesso definiamo “umana”. Ma pochi si spingerebbero (forse a torto) a ritenere “persona” un corvo o anche un elefante. Molti, invece, sono disponibili a prendere almeno in considerazione la possibilità di definire “persone” – naturalmente “persone non umane” – le grandi scimmie antropomorfe. In particolare gli scimpanzé. Per motivi strutturali: il Dna degli scimpanzé è per il 98% e oltre uguale al nostro. Per le dimensioni, assolute e relative, del cervello. Ma soprattutto perché mostrano di avere capacità cognitive davvero sviluppate: intelligenza sociale, capacità di utilizzare strumenti, capacità di risolvere problemi inediti, capacità (mediante imitazione) di trasmettere i caratteri culturali acquisiti, coscienza. E persino, a quanto pare, autocoscienza. Gli scimpanzé si riconoscono allo specchio. E, quindi, hanno coscienza di un “sé” distinto dall’”altro”.
I delfini sanno fare come e persino meglio degli scimpanzé. Dopo l’uomo sono gli esseri più intelligenti del pianeta Terra, ha spiegato Lori Marino – esperto di neuroanatomia dei cetacei in forze alla Emory University di Atlanta, Stati Uniti – nel corso del meeting di San Diego. E quindi, come e più degli scimpanzé, devono essere considerate “persone non umane”.
Hanno, infatti, i requisiti strutturali “giusti”. Un cervello di 1.600 cm3, persino più grande del nostro (che è, in media, di 1.350 cm3). Ma, soprattutto, un tasso di encefalizzazione (il rapporto tra il peso del cervello e il peso del corpo) superiore a quello degli scimpanzè e secondo, appunto, solo a quello di noi umani. Nel loro grosso cervello hanno, inoltre, una neocorteccia molto complessa e sviluppata. E la neocorteccia negli umani è la sede delle capacità cognitive superiori: da quelle relative alla soluzione di problemi, all’intelligenza sociale, alla coscienza. Nei delfini sono stati trovati anche i neuroni von Economo, che noi (e gli scimpanzé) attiviamo quando instauriamo relazioni sociali complesse, elaboriamo pensieri astratti o, addirittura, una teoria della mente. Nessun dubbio, dunque: in quanto a struttura cerebrale “giusta”, i delfini sono i più simili a noi, che ci autodefiniamo sapienti. Persino più degli scimpanzè.
Ma avere un motore non significa, necessariamente, correre. I delfini corrono in termini cognitivi? Diana Reiss, ricercatrice dell’Hunter College presso la City University of New York, una vita spesa a studiare i mammiferi marini negli acquari e in mare, non ha dubbi: i delfini usano in tutte le sue potenzialità il loro robusto motore cognitivo. Hanno un comportamento sociale intelligente almeno quanto quello delle grandi scimmie antropomorfe; hanno auto-controllo; capiscono cosa vuole fare l’altro; hanno personalità; comprendono complesse istruzioni impartite dagli umani; hanno una capacità di apprendere e di risolvere problemi inediti. E si riconoscono allo specchio. Sono, dunque, dotati di autocoscienza.
Per tutti questi motivi nessun altro essere vivente come i delfini, sostengono alcuni ricercatori, può autorevolmente candidarsi a essere riconosciuto come “persona non umana”.
Molti ricercatori sono più prudenti di Diana Reiss e di Lori Marino. In realtà noi sappiamo ancora troppo poco dei delfini. Dobbiamo studiarli ancora. E appropriatamente. Nel loro ambiente naturale, non in cattività. Dobbiamo studiarli almeno quanto gli scimpanzé, per poter elaborare un’analisi comparativa tra l’intelligenza (le intelligenze) dei mammiferi marini e l’intelligenza (le intelligenze) dei nostri cugini primati.
Al netto di tutto questo resta la candidatura dei delfini a concorrere per la definizione di “persona non umana”. Il concorso – vale la pena di ribadirlo – ha un interesse solo per noi e la scia del tutto indifferente i nostri amici marini.
Ma la domanda, almeno per noi, è di grande interesse: cos’è intendiamo per “persona”? Lo abbiamo già detto. Non esiste una definizione scientifica rigorosa. Tuttavia molti filosofi sono d’accordo nel ritenere persona un essere vivente che ha delle emozioni, che è consapevole dell’ambiente in cui vive, che ha personalità, auto-controllo e ha relazioni appropriate sia con i membri della sua stessa specie, sia con gli altri esseri viventi, sia con il resto dell’ambiente in cui vive.
Se questo identikit di persona ha una qualche validità, allora non c’è dubbio: i delfini, come gli scimpanzé, sono persone. In particolare, sono “persone non umane”.
Cosa implica, tutto ciò? Per i delfini – e per gli scimpanzé – nulla. Che noi li definiamo “persone” o no, per loro non cambia – non deve cambiare – assolutamente nulla. Anche se, è notizia di ieri, uno scimpanzè alcolizzato è stato mandato in un centro di recupero.
Potrebbe cambiare qualcosa per noi. Molti sostengono che se delfini, scimpanzè e altri animali non umani sono “persone”, allora devono cambia lo statuto etico: dobbiamo trattarli come persone. Per esempio, non possiamo tenere un delfino in cattività: perché è come tenere prigioniero una persona (appunto) innocente.
Non tutti sono d’accordo. L’etica fondata sul concetto di “persona” è troppo antropocentrica. Occorre portare rispetto per tutti gli esseri viventi, indipendentemente dalla loro somiglianza con Homo sapiens. Ma davvero possiamo considerare un verme o anche un moscerino con la stessa dignità di un delfino o di uno scimpanzé? In fondo noi siamo animali e abbiamo una naturale simpatia per chi ci somiglia di più (anche i delfini hanno più simpatia per noi che per le acciughe).
La discussione – etica, filosofica e scientifica – è aperta. Ne dobbiamo sapere di più. Intanto, però, ne sappiamo abbastanza per dire che capacità cognitive superiori caratterizzano, certo, la specie umana. Ma non sono prerogative esclusive di Homo sapiens. E neppure della linea evolutiva che ha portato a Homo sapiens. Sappiamo che in noi umani non c’è alcuna specialità apriori. Le nostre capacità si sono sviluppate nella storia. Per un misto di caso, contingenza e necessità. E tutto questo ci obbliga a un salutare bagno di umiltà.

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