Astrofisica: trovata prima evidenza completa dell’esistenza della “materia oscura”


ROMA - In una missione ideata e guidata dall’Italia, il satellite internazionale Pamela potrebbe avere raccolto la prima evidenza concreta della materia oscura, la materia invisibile quasi cinque volte più abbondante di quella visibile di cui sono fatte stelle, pianeti, animali e uomini. Il risultato, pubblicato su Nature, si deve alla ricerca coordinata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e condotta in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi). Vi hanno partecipato l’università tedesca di Siegen, quella svedese AlbaNova di Stoccolma e la Russia, con la sua Agenzia spaziale e centri di ricerca a Mosca e San Pietroburgo. «Riconosco che potrebbe essere la firma della materia oscura», dice Piergiorgio Picozza, dell’Infn e coordinatore della missione, che comunque sottolinea che per avere questa certezza serviranno ancora molte altre verifiche.

PAMELA - Lanciato nel 2006, il satellite Pamela (Payload for Antimatter Matter Exploration and Light – nuclei Astrophysics) è una sorta di osservatorio che misura particelle e antiparticelle. Quello che ha visto è un’abbondanza inattesa di positroni (gli equivalenti degli elettroni nell’antimateria) che potrebbe essere spiegata dalla presenza della materia oscura
Il dispositivo è composto da un magnete e da molteplici rivelatori di particelle, orbita e da circa tre anni attorno alla Terra, a un’altezza tra 350 e 600 chilometri, per studiare i raggi cosmici e, in particolare, la loro componente di antimateria. I raggi cosmici sono particelle accelerate a velocità vicine a quella della luce, probabilmente in seguito agli effetti di esplosioni di supernovae lontane o di altri fenomeni violenti nel cosmo; sono formati soprattutto da protoni, nuclei di atomi di elio, o più pesanti, ed elettroni. Tuttavia, tra le particelle più rare si trovano anche particelle di antimateria – identiche alle particelle di materia ma con carica opposta – e tra queste, in particolare, antielettroni, chiamati anche positroni, e antiprotoni.

LA SCOPERTA - I risultati pubblicati su Nature evidenziano un’anomalia nel rapporto tra il numero di positroni e il numero di elettroni rivelati. Questa abbondanza di positroni può trovare una spiegazione plausibile in un segnale di materia oscura, ma non è da escludere che si tratti di particelle provenienti da pulsar o da altre sorgenti astrofisiche. L’ipotesi è che le particelle di materia oscura presenti nella nostra galassia, interagendo fra loro, si annichilino o decadano, producendo sciami di particelle secondarie di alta energia e, in particolare, coppie protone-antiprotone ed elettrone-positrone che Pamela sta intercettando. «Questi dati, insieme a quelli pubblicati sul rapporto antiprotoni su protoni in febbraio su Physical Review Letters, rappresentano uno dei più importanti contributi di questi ultimi anni alla conoscenza del mistero della materia oscura, permettendo di restringere in modo molto significativo il campo delle ipotesi sulla sua natura», spiega Piergiorgio Picozza dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e Università di Roma Tor Vergata, coordinatore dell’esperimento Pamela.

MATERIA ESOTICA - Oltre ai nuclei di antimateria e ai possibili segnali di materia oscura, i fisici della collaborazione stanno cercando altri tipi di materia esotica, ma anche indicazioni sulle sorgenti dei raggi cosmici e sulle leggi che regolano i loro meccanismi di accelerazione e propagazione nella galassia, oltre a precise informazioni sull’evoluzione dell’attività del Sole. Il lavoro di analisi, cominciato dopo il lancio da Baikonur, in Kazakistan, il 15 giugno 2006, coinvolge una collaborazione internazionale, a cui partecipano scienziati italiani, russi, tedeschi e svedesi. I ricercatori italiani, provenienti dalle Sezioni Infn e università di Roma Tor Vergata, Trieste, Firenze, Napoli e Bari, dai Laboratori Nazionali di Frascati dell’Infn e dall’Ifac del Cnr di Firenze, costituiscono il nucleo centrale e più numeroso della collaborazione. La missione Pamela continuerà a fornire informazioni per almeno altri tre anni. «Andare nel cosmo a studiare l’antimateria di origine naturale è fondamentale per capire l’origine e l’evoluzione dell’Universo in cui viviamo» spiega Enrico Flamini, responsabile Osservazione dell’Universo dell’Agenzia Spaziale Italiana. «Per questo l’impegno italiano in questo campo proseguirà con la missione AMS, il più grande cacciatore di antimateria mai costruito, che verrà agganciata alla Stazione Spaziale Internazionale alla fine del prossimo anno».

Fonte: http://www.corriere.it/

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