2012 , fine del mondo? - 3 - Il grande asteroide

Molti pensano che la probabilità che si verifichi un impatto asteroidale significativo sulla Terra, come quello che estinse i dinosauri 65 milioni di anni fa, sia abbastanza bassa: uno ogni 500.000 anni. Però questa statistica dovrebbe essere rivista proprio in base agli accadimenti degli ultimi 100 anni.

Ad esempio a Tunguska, una località della Siberia, avvenne, nel Giugno 1908 (quindi solo di un secolo fa) un impatto di un asteroide. 2150 chilometri quadrati di superficie terrestre vennero devastati da una immane esplosione udita fino a 1000 Km di distanza e della potenza di circa 13 Megatoni. Nella esplosione vennero sradicati o divelti più di 60 milioni di alberi in un modo che faceva individuare il centro di tale esplosione, accreditata ad un meteorite di 30 metri (solo trenta metri) di diametro. Perché un oggetto cosi piccolo può causare danni tanto immani? La risposta sta nel fatto che esso impattò con l'atmosfera del nostro pianeta ad una velocità stimata attorno ai 15 Km/sec; praticamente la velocità di un proiettile.

A seguito di ciò venne praticamente vaporizzato causando un'onda d'urto sulla superficie sottostante senza lasciare crateri. Pensate che l'urto fece quasi deragliare alcuni convogli della Ferrovia Transiberiana, distanti 600 km dal punto di impatto! Non ci furono vittime solo perché la zona era assolutamente disabitata. Se tale impatto avesse invece cancellato la città di Berlino oggi guarderemmo con meno distacco a questi fenomeni.

Ancora: La cometa Shoemaker Levy 9 impattò sul pianeta Giove nel Luglio del 1994, (quindi solo alcuni anni fa). Questo evento avrebbe costituito un'opportunità unica per osservare l'atmosfera di Giove, infatti la collisione avrebbe provocato eruzioni di materiali provenienti da strati atmosferici normalmente preclusi all'osservazione a causa della loro profondità. Ricordiamo qui che Giove è un pianeta gassoso con solo un piccolo nucleo centrale solido.

Gli astronomi stimarono che i frammenti visibili della cometa variavano da qualche centinaio di metri fino ad qualche chilometro, e la cometa intera potrebbe aver avuto un diametro di 5 Km. Anche qui dunque parliamo di un oggetto piccolissimo ed insignificante rispetto ad un pianeta come Giove che ha un diametro di quasi 143.000 Km. La nostra terra, con i suoi 12.800 Km di diametro, posta vicino a Giove avrebbe circa le proporzioni di una pallina da ping-pong vicino ad un pallone da basket.

La cometa, prima di giungere al punto di impatto, descrisse varie orbite attorno al grande pianeta ed in una di queste, nel luglio 1992, subì gli effetti mareali di Giove finendo spezzata in diversi tronconi. L'impatto del primo frammento della cometa colpì il pianeta sul lato opposto a quello visibile dalla terra.

Per fortuna era in orbita attorno a Giove la sonda Galileo che poté riprendere i successivi momenti di impatto dei vari frammenti (vedi foto). Nell'impatto si liberò una energia totale pari a 6 milioni di megatoni, circa 600.000 volte la bomba H (!) e le aree dell'esplosione erano grandi come l'intera Africa.

Il 23 marzo 1989, l'asteroide 4581 Asclepius di tipo Apollo (1989 FC) mancò la Terra di 700.000 km,passando nell'esatto punto dove era la Terra solo 6 ore prima. Se si fosse scontrato avrebbe creato la più grande esplosione della storia. Piccole collisioni, equivalenti a 1 chilotone, avvengono circa ogni mese ma sono assorbite dall'atmosfera terrestre che incendia e vaporizza i piccoli oggetti.

Ora: in solo 100 anni abbiamo assisto a due impatti cometari nel sistema solare di cui uno sulla Terra, un asteroide ci ha sfiorato, due grandi comete come la Halley e la Hale Boop sono passate vicino alla Terra e molte altre minori ne abbiamo viste. Il sistema solare è pieno di milioni di asteroidi vaganti che risiedono sia nella fascia di Kuiper sia nella più distante nube di Oort. Non è dunque da rivedere quella stima dei 500.000 anni?

Che cosa stiamo facendo per intercettare tali oggetti? Risposta: quasi nulla. La NASA aveva iniziato la la mappatura di alcune zone di cielo con il progetto Space-Survey ma ha visto tagliati i fondi dal governo Bush. Nick Bostrom afferma:

"E’ triste che l'umanità nel suo insieme non abbia investito anche solo un paio di milioni di dollari per migliorare le sue idee su come meglio poter garantire la propria sopravvivenza."

Certamente ha ragione, e forse oltre che triste è anche molto pericoloso!

Dal punto di vista del rischio esistenziale un impatto con un asteroide di diametro superiore ai 50 Km sulla superficie terrestre sarebbe devastante e, oltre alla distruzione della zona d'impatto, provocherebbe onde alte 300 metri che devasterebbero le coste e soprattutto un inverno nucleare che potrebbe durare dieci anni, con identiche conseguenze di quello di una guerra atomica.

Per questo ho assegnato a questo evento un grado di distruttività del 90%. C'è tuttavia una bassa possibilità (1% nel peggiore dei casi) che un tale evento avvenga, ma resta il fatto che dovremmo impegnarci di più nelle tecniche di intercettazione e nel pianificare necessarie contromisure.

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Avvistate flottilias a Casavatore (NA) Ore 19:00 del 13/06/2009

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2012 , fine del mondo? - 2 - Guerra Termonucleare

La prima bomba atomica usata su Hiroshima era di tipo "A", ossia una bomba che fa uso della fissione nucleare per sprigionare energia. La reazione a fissione fa uso di un nucleo di Uranio 235 (o Plutonio 239) che vengono divisi tramite il bombardamento con neutroni o altre particelle elementari in frammenti sub-nucleari. Questo un processo libera una ingente quantità energia.È il tipo di reazione comunemente utilizzata nei reattori nucleari delle centrali elettriche.

In seguito gli USA e l'URSS perfezionarono un tipo di bomba molto più efficiente in termini di distruttività: la bomba H, o bomba all'idrogeno, la quale usa lafusione nucleare, la stessa che produce energia nel Sole. Tale processo consiste nell'unione dei nuclei di due atomi leggeri, isotopi dell'idrogeno (deuterio e trizio) in uno più pesante. Questo tipo di reazione ilbera una spaventosa quantità di energia, migliaia di volte più elevata di quella che alimenta la bomba A. Si pensi infatti che la bomba H più potente mai realizzata fu in grado di sprigionare una potenza di 57 megaton, 4400 volte superiore a quella che devastò Hiroshima, che era pari solo a 0.013 megaton. Il fungo raggiunse l'altezza di 60 Km e l'onda d'urto fece tre volte il giro del mondo nelle successive 36 ore.

Da qui si comprende che una bomba simile sarebbe in grado di devastare una metropoli come Londra o Parigi causando danni spaventosi, sia sul punto di impatto, sia nei 30 Km di raggio ove si estende l'onda di calore e sia per le radiazioni gamma che ricadrebbero come falloutradioattivo per 90 Km di raggio dal centro.

Si noti che di queste bombe, negli arsenali Russi e USA ne esistono in totale circa 10.000 (diecimila!), montate su missili balistici intercontinentali o missili a medio raggio su navi corazzate e sottomarini.


Tuttavia la possibilità che una tale guerra si realizzi è scongiurata dal fatto che essa causerebbe distruzione anche dell'eventuale attaccante.

Nonostante questo ragionamento, nei giorni tra il 15 Ottobre e il 28 Ottobre del 1962 si è davvero sfiorata l'ecatombe termonucleare con la crisi dei missili a Cuba: dopo la vittoria di Castro nella rivoluzione cubana del 1961, gli Stati Uniti volevano confinare il nuovo regime comunista, con il quale il presidente Eisenhower aveva interrotto i rapporti diplomatici. I

l suo successore, John Fitzgerald Kennedy, approvò un piano di invasione dell'isola definito dal precedente governo addestrando e appoggiando gli esuli cubani, che sbarcarono nella baia dei Porci. L'operazione fallì e Cuba, vistasi minacciata, chiese e ottenne da Mosca l'installazione di batterie di missili nucleari sul proprio territorio. Quando gli aerei spia americani li scoprirono (nell'ottobre del 1962), Kennedy ordinò il blocco navale dell'isola. In quei giorni si è andati vicinissimi alla terza guerra mondiale!

Recentemente anche paesi dai governi instabili come India e Pakistan hanno costruito le loro bombe A, se una fazione fondamentalista (Talebani) votata al martirio autodistruttivo si impossessasse delle chiavi dei missili ciò potrebbe portare ad una guerra nucleare.

Quali sarebbero gli effetti di una guerra nucleare su larga scala? Sicuramente se venissero usate migliaia di bombe H la Terra verrebbe trasformata in un piccolo Sole. Ma anche se se ne usassero "solo" un centinaio in una guerra localizzata, oltre alle radiazioni che andrebbero diffuse, le esplosioni a Terra alzerebbero in aria miliardi di tonnellate di pulviscolo che andrebbe ad oscurare il Sole per almeno cinque anni. La conseguenza sarebbe un inverno nucleare.

La uniforme nube di polvere e ceneri radioattive si stabilizzerebbe a circa 1500 m di quota e, facendo essa da scudo all'energia solare, la temperatura media del globo di abbasserebbe di 40° centigradi. Gli effetti sulla vita nei mari e sulla vita vegetale e animale sulla terraferma sarebbero devastanti ed andrebbe distrutto anche lo strato di ozono. Tra quei pochi che sopravviveranno all'ecatombe si presenterà presto il problema della scarsità di cibo e la impossibilità di coltivare sui terreni contaminati.

La guerra atomica localizzata non costituisce un rischio esistenziale in quanto una piccola percentuale di esseri umani, nelle zone meno colpite, riuscirebbe comunque a sopravvivere. Per questo va assegnato a questo evento un grado di distruttività del 75%. Di recente il presidente USA Obama ha proposto alla Russia un accordo per la riduzione del totale degli armamenti nucleari delll'80% da entrambe le parti. Anche per questo si ritiene di assegnare alla probabilità che si verifichi l'evento un modesto 5%.

[Ugo Spezza]

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La password? Troppo facile carpirla

Ricerca Usa: facilissimo rispondere alle domande personali e segrete dei sistemi di sicurezza delle webmail

MILANO – Non è un segreto, se almeno i nostri cari e gli amici lo sanno. E allora perché continuare a proteggere le nostre password e gli accessi alle caselle di posta web con domande cui anche il nostro vicino saprebbe rispondere in un batter d’occhio? Se lo chiede Microsoft, che ha appena pubblicato una ricerca in collaborazione con la Carnegie Mellon University che dimostra quanto sia semplice scovare le password altrui. E che propone anche le alternative: per esempio, usare persone fidate di nostra conoscenza che funzionino da doppio controllo al posto nostro.

DOMANDE PERSONALI – Sul banco degli imputati ci sono i 4 principali provider mondiali di webmail: Microsoft stessa, con la sua Hotmail, Google con Gmail, Yahoo e Aol. Per il quartetto la tipologia di controllo in caso di smarrimento della password per accedere alla posta è lo stesso, ovvero rispondere a una domanda (solitamente all’interno di una lista di quesiti preconfezionati), come la classica “il nome da nubile di tua madre”, o ancora, “la città in cui sei nato”, “il nome del tuo animale domestico” e via dicendo. A risposta esatta, si viene reindirizzati alla propria casella di posta, e tutto procede tranquillamente. Anzi, a quel punto è possibile cambiare la password scordata con una nuova di zecca. Ma tale pratica, avvertono gli specialisti, è assai rischiosa perché ci rende vulnerabili al furto della nostra identità elettronica e a rischio di attacchi, soprattutto se siamo utenti che amano comprare online, su Amazon piuttosto che su eBay.

LO STUDIO – Microsoft e l’università Carnegie Mellon hanno chiesto ai conoscenti di 32 utenti delle più conosciute webmail di rispondere al posto loro alle domande di sbarramento per riavere il proprio account: in un caso su cinque queste persone erano in grado di superare la barriera ed entrare nelle caselle degli amici. Troppo semplice dunque eludere la sicurezza, ecco perché lo stesso studio propone anche una soluzione al problema. L’utente potrà scegliere una serie di persone “fidate” che garantiranno al posto suo quando costui smarrirà la password e verrà rigettato dal sistema. Sarà a loro che automaticamente il software di sicurezza della webmail si rivolgerà, consegnando un codice di recupero della password. Mettendo insieme i vari codici raccolti dagli amici, l’utente sfortunato dimostrerà così di essere il vero proprietario e potrà riavere il suo account. Ma più che un sistema di sicurezza, la soluzione ricorda una caccia al tesoro in piena regola.

Eva Perasso
23 giugno 2009

Fonti: www.corriere.it

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La misteriosa esplosione di Tunguska fu causata da una cometa?


E’ questo un problema che ha sempre angustiato gli scienziati, quello di riuscire a comprendere le cause della terribile esplosione che sconvolse la Siberia un secolo fa.

Il 30 Giugno 1908, infatti, accompagnata da un fragoroso boato, una gigantesca esplosione colpì la zona siberiana presso il fiume Tunguska, evento che rimase impresso nella memoria dei (pochi) contadini che assistettero all’evento.

Oltre 60 milioni di alberi vennero abbattuti e bruciati, l’esplosione venne avvertita ad oltre 1000 km di distanza, con un’energia sviluppata al momento dell’impatto valutabile in diversi Megatoni, ma le prime ricerche sulla zona vennero effettuate solo dopo molti anni, ad opera dello scienziato russo Kulik, negli anni Trenta.

Malgrado le ricerche effettuate, non venne ritrovato il cratere di impatto, e neanche nelle più recenti spedizioni effettuate dall’Università di Bologna si è raggiunta la sicurezza di aver individuato tale cratere (individuato, ma con molte incertezze, nel Lago Cheko presente in zona).

Il problema dell’impatto del 1908 tiene in apprensione gli scienziati: se un simile evento accadesse ai nostri giorni, su di una zona densamente abitata, provocherebbe devastazioni di grande portata.

Gli scienziati della NASA basano la loro teoria dell’impatto di un corpo cometario sul fatto della comparsa delle “nubi nottilucenti” su Londra, pochi giorni dopo tale evento.

Tali nubi illuminavano quasi a giorno le notti londinesi, tanto da permettere di leggere il giornale alle 3 di notte!

Queste nubi, tipiche delle zone polari, si formano a grandi altezze nella mesosfera, a quasi 100 km di quota, e sono costituite da particelle di ghiaccio a temperature molto basse (-117°C) che riflettono la radiazione solare, illuminando le notti della superficie terrestre.

Sono state osservate numerose nubi nottilucenti in corrispondenza dei lanci dello “Space Shuttle”, la navicella spaziale che, per ogni viaggio, libera circa 300 tonnellate di vapore in alta atmosfera (nella zona della Termosfera).

Tale vapore, congelandosi, ha dato origine a numerose nuvole di questo tipo nelle zone polari.

La teoria sostiene che la cometa di Tunguska si sia nebulizzata all’incirca alla stessa altezza, immettendo grandi quantità di vapore acqueo tra la termosfera e la mesosfera, generando un fenomeno fisico particolare denominato “turbolenza bidimensionale”, che spiegherebbe come mai le nubi nottilucenti si siano formate sull’Europa, a migliaia di miglia di distanza dall’impatto.

E spiegherebbe anche come mai non è stato trovato un cratere di impatto sulla zona: la cometa si sarebbe volatilizzata molto prima di raggiungere la superficie terreste.

La ricerca è stata pubblicata dalla rivista “Geophysical Research Letters”.

Fonte: http://www.meteogiornale.it/


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Una nuova tecnica per lo studio degli isotopi


E' possibile distinguere i differenti isotopi distinguendo le frequenze laser assorbite quando le molecole del campione sono convertite in altre per effetto della combustione

Più semplice, economico e leggero: questi in sintesi i pregi di un nuovo metodo di analisi isotopica messo a punto da Richard Zare e colleghi della Stanford University e descritto sull'ultimo numero della rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences”.

"Tutto si svolge sfruttando fumo e specchi”, ha spiegato Richard Zare, che ha fornito una dettagliata descrizione del nuovo metodo. "Si tratta infatti di bruciare i campioni chimici di interesse e far passare i fumi attraverso un fascio laser che si propaga avanti e indietro tra due specchi all'interno di uno speciale contenitore".

L'idea di base è che è possibile distinguere i differenti isotopi oggetto di analisi distinguendo le diverse frequenze laser assorbite quando le molecole del campione sono convertite in altre per effetto della combustione.

L'analisi isotopica è utilizzata in un'ampia gamma di ricerche, dalla geochimica alla medicina, passando per la climatologia. Finora, l'analisi è stata condotta con spettrometri di massa, che separano i diversi isotopi di una specie chimica in base alle loro masse sfruttando un campo magnetico. Questo tipo di tecnologia è tuttavia di grandi dimensioni e costosa e richiede personale specializzato per il funzionamento.

Il dispositivo messo a punto a Stanford è più piccolo, più economico e più facile da utilizzare rispetto alle apparecchiature tradizionali, inoltre le sue piccole dimensioni ne garantiscono un'ottima trasportabilità. È possibile quindi prevedere che possa aprire la strada dell'analisi isotopica a molti ricercatori che attualmente non hanno mezzi sufficienti per dotarsi delle apparecchiature attuali.

Unico neo dello strumento, per ora, è la sua limitata sensibilità di rivelazione. Mentre infatti le tecniche standard sono in grado di distinguere rapporti isotopici con un'accuratezza di 1-3 parti per mille, il dispositivo di Zare e colleghi è da 10 a 30 volte meno preciso, anche se si tratta di un primo prototipo per dimostrare la fattibilità del progetto.

fonte-lescienze.espresso.repubblica.it

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Lo strano pasto dell'adrosauro


L'analisi delle tracce prodotte dalla frizione dei denti gli uni contro gli altri e dal cibo ha permesso di risalire al tipo di vegetali di cui questi dinosauri si alimentavano
Microscopiche tracce rinvenute sui denti fossili di alcuni adrosauri hanno permesso di identificare che cosa mangiassero questi dinosauri vegetariani e il modo in cui lo facevano. Lo studio, condotto da paleontologi dell'Università di Leicester, è pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences" (PNAS).

"Per milioni di anni, fino alla loro estinzione alla fine del Cretaceo, gli adrosauri, i dinosauri dal muso 'a becco', sono stati gli erbivori dominanti in tutto il mondo. Dovevano essere in grado di frantumare in qualche modo il loro cibo, ma senza la complessa articolazione della mandibola dei mammiferi non possono essere stati in grado di masticare allo stesso modo ed è difficile capire come mangiassero. E anche che cosa mangiassero: potevano brucare le erbe prossime al terreno, come oggi le pecore e le mucche, o mangiare foglie di alberi e cespugli, come alci e giraffe. Non sapendo le risposte è difficile comprendere gli ecosistemi del Cretaceo", ha osservato Mark Purnell, che ha diretto lo studio.

Parlando di questi dinosauri come di erbivori, osserva, Purnell, bisogna ricordare peraltro che si usa il termine in senso lato, dato che "per quanto si siano evolute nel tardo Cretaceo, le prime piante erbacee non erano comuni ed è improbabile che rappresentassero una componente importante della dieta degli adrosauri".

Il nuovo studio si è basato sull'analisi delle microscopiche tracce che sono state prodotte sui denti degli adrosauri quando mangiavano sia dal cibo sia dalla frizione dei denti gli uni contro gli altri. Nonostante le decine di milioni di anni trascorsi, "queste abrasioni si sono conservate intatte dalla loro morte e ci possono dire esattamente come mangiavano e il tipo di alimenti che mangiavano. Nessuno finora aveva tentato un'analisi di questo tipo."

Queste tracce hanno indicato che i movimenti dei denti degli adrosauri erano complessi, con un moto in direzione alto-basso, laterale e anche avanti-indietro. Secondo Paul Barrett del Natural History Museum "questo mostra che gli adrosauri masticavano, ma in un modo completamente differente da qualsiasi essere vivente di oggi. Invece di una articolazione flessibile avevano una sorta di cerniera a perno fra la mascella superiore e il resto del cranio. Quando si abbassavano sul loro cibo questa era spinta verso l'esterno flettendosi lungo la cerniera in modo che le superfici dei denti scivolassero le une rispetto alle altre, macinando e sfilacciando l'alimento in questo processo".

"Dalle abrasioni possiamo dire che il loro cibo conteneva o piccole particelle di arenaria, una cosa normale per la vegetazione che cresce in prossimità del suolo, o microscopici granuli di silice. Sappiamo che gli equiseti erano piante comuni all'epoca, e che hanno questa caratteristica; possono quindi essere stati una importante fonte di cibo per gli adrosauri."

fonte-lescienze.espresso.repubblica.it
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Nuove invenzioni



Ci sono alcune invenzioni che vengono fatte mentre noi facciamo la nostra routine quotidiana.

Queste ‘invenzioni’ che vi riporto qui sotto, a me sono piaciute (una è davvero buffa: la numero 3, ma non vi anticipo nulla!), e credo siano nel loro piccolo utili.

Invenzione n°1:

Il semaforo virtuale, come lo chiamo io.

Hanyoung Lee un designer cinese, ha inventato un nuovo tipo di semaforo. Praticamente consiste nel piantare due pali ai lati delle strade, che nel momento in cui ci si deve fermare, proiettano uno schermo virtuale, in cui si vedono i pedoni passeggiare, in tal modo non si deve più pensare a cercare ogni volta quella lucetta verde o rossa che sia. I costi non sono di sicuro bassi, ma se si attivasse questo sistema, si potrebbe diminuire (secondo me) il livello di mortalità nelle strade. Inoltre ingombrerebbero di meno, e finalmente il giallo andrebbe in pensione… Volevo precisare che se ci si passa non è che si viene tagliati a metà, è semplicemente una proiezione.

Come dicevo prima, i costi non sono bassi, però come idea non è davvero male… Qui maggiori informazioni, in inglese. Foto: YankoDesign.com


n°2 Il capisci prodotto

Consiste in un apparecchio che ti dice dove buttare un prodotto usato, in modo da fare la raccolta differenziata.
Praticamente tu passi il codice a barre del prodotto, e lui dopo aver capito anche di che materiale si tratta ti apre lo sportello giusto. Ci sono 4 sportelli: vetro, plastica, carta e alluminio. A me sembra rivoluzionario. Purtroppo non so dirvi se funzioni o meno, ma a me sembra utile e di un design accattivante.
Qui maggiori informazioni in inglese, e qui sotto una foto da YankoDesign.com.



n°3 La panchina rotante

Questa mi è davvero piaciuta. È davvero buffa.
Una panchina, che dopo quei 10 minuti di pioggia, si può rotare, in modo tale che la parte bagnata viene sostituita dalla parte asciutta. Così se siete appena stati 10 minuti al supermercato ad aspettare che spiovesse e non vedete l’ora di sedervi perchè non ce la fate più a tenervi quei 10 kg addosso, ora potete farlo senza sporcarvi!
Qui maggiori informazioni. Foto: YankoDesign.com



Fonti: pandoro.wordpress.com


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Obama dà all’America la prima legge sul clima

Passa alla Camera il piano anti riscaldamento terrestre. Ma gli ecologisti: «Troppo poco»

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON
— L’incipit di una pagina di Storia si può scrivere anche con 7 voti di scarto. Tanto è il stato il margi ne, 219 a 212, con cui la Came ra dei Rappresentanti ha vota to venerdì sera la legge sul l’energia, consegnando a Ba rack Obama una delle più im portanti vittorie politiche dei suoi cinque mesi alla Casa Bianca. Il nuovo ordinamento, che per entrare in vigore dovrà passare l’esame del Senato, im pone per la prima volta negli Stati Uniti limiti alle emissioni di gas-serra e prevede stimoli all’uso delle fonti pulite e soste nibili. Detto altrimenti, l’Ame rica dà il via a una rivoluzione, che affronta il problema del global warming, cambiando il modo in cui la prima econo mia del mondo produce e usa energia. «Un passo coraggioso e ne cessario, che contiene la pro messa di creare una nuova in dustria e milioni di posti di la voro », ha detto il presidente Obama, ricordando che la leg ge, se approvata dalla Camera Alta, «renderà finalmente l’energia pulita la forma più conveniente di energia».

L’American Clean Energy and Security Act pone l’obietti vo di ridurre del 17% entro il 2020(usando come base i valo ri del 2005) le emissioni di Co2 nell’atmosfera. Al suo centro è un meccanismo di «cap and trade», che fissa il tetto globale dei gas serra consentiti, ma consente a industrie, centrali e altri operatori di comprare e vendere i cosiddetti «permessi d’inquinamento». Un numero limitato di questi ultimi verrà istituito dal governo e in parte distribuito gratuitamente in base a criteri, fissati dal Con gressional Budget Office. Il tet to alle emissioni verrà abbassa to progressivamente negli an ni, rendendo più caro acquista re i permessi e presumibilmen te costringendo le industrie a investire su energie rinnovabi li (solare, eolica e geotermale) o più pulite, come la nuova ge nerazione di reattori nucleari o il carbone che non inquina. Se condo il Congresso, la nuova legge costerà in media al con sumatore americano 175 dolla ri l’anno.

Non è stato facile per la Casa Bianca farla passare. Giovedì mattina, Rahm Emmanuel, ca po dello staff e vero stratega di Obama, aveva ammesso a un breakfast con un gruppo di giornalisti che «i voti non ci so no ». Ma nelle 24 ore successive, sotto la regia sua e della Spe aker Nancy Pelosi, il lavorio è stato frenetico. I numeri del te sto sono stati modificati al ri basso. Obama ha trascorso ore al telefono per convincere uno per uno i deputati riluttanti e molti di loro sono stati corteg giati perfino con un invito al l’Iuau, la prima festa hawaiia na organizzata dalla first fami ly giovedì sera nel South Lawn della Casa Bianca. Alla fine il successo è arriva to, sia pur sudato e di misura: per 8 repubblicani che hanno votato con la maggioranza, ci sono stati ben 44 democratici che hanno detto no. Una varie gata ribellione interna, dove si sono ritrovati insieme chi osteggia la legge temendo che possa alienare voti nelle regio ni agricole o dell’industria tra dizionale e chi invece la consi dera troppo timida. E anche gli ambientalisti hanno chiesto una legge più dura contro gli inquinatori e le industrie. Le difficoltà del primo osta colo annunciano un’altra, dura battaglia al Senato, dove ai de mocratici mancano 2 dei 60 vo ti necessari per evitare l’ostru zionismo, ma dove le linee di visorie sull’ambiente sono an che molto trasversali.

Paolo Valentino
28 giugno 2009

Fonte: www.corriere.it

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Ecco i segreti delle comunicazioni tra le Piante .

Scoprire i segreti della comunicazione nelle piante per controllarne la crescita, far sviluppare foglie e frutti, allontanare parassiti e insetti nocivi e attirare invece quelli amici, ma anche per riconoscere eventuali Sos lanciati dalle piante che vivono in ambienti inquinati.

E' quanto stanno facendo due gruppi di ricerca italiani, attivi presso l'universita' di Roma La Sapienza e l'Istituto di Biologia agroambientale e forestale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) a Monterotondo (Roma). I risultati saranno presentati nel congresso della Societa' Italiana di Biologia Vegetale in programma a Verona dal 30 giugno al 2 luglio.

- PIANTE SU MISURA: e' possibile regolare la crescita di una pianta in modo da avere radici che si sviluppano molto in profondita', oppure foglie piu' grandi, spiega Sabrina Sabatini, rientrata in Italia nel 2003 grazie alla fondazione Armenise-Harvard e ora ricercatrice del dipartimento di Genetica e biologia molecolare dell'universita' La Sapienza. E' stata lei a scoprire che la crescita delle piante e' regolata da due ormoni chiamati auxina e citochinina. "Il primo attiva la divisione cellulare, il secondo la blocca", spiega la ricercatrice. Sono i registi che guidano lo sviluppo delle cellule staminali, che nelle piante si rinnovano continuamente, facendo ricrescere foglie e rami. Adesso la scommessa e' scoprire i geni che regolano questi ormoni.

- MESSAGGI ANTISTRESS: a veicolarli sono molecole volatili, composti dall'azione antiossidante allo studio del gruppo di Francesco Loreto, dell'Istituto di Biologia agroambientale e forestale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) a Monterotondo (Roma). "La produzione di queste sostanze puo' essere indotta come risposta allo stress e il suo studio potrebbe avere un significato ecologico", spiega Loreto.

- PASSAPAROLA: i segnali di pericolo possono viaggiare anche all'interno della pianta, dalle parti che hanno subito un aggressione a quelle non ancora attaccate, in modo che possano mettere in atto eventuali difese. Per esempio, si e' visto che quando le foglie di una pianta sono attaccate da un insetto, le altre foglie cominciano ad emettere sostanze sgradite agli insetti, che permettono loro di allontanarli.

- PIANTE NEMICHE: che le piante possano comunicare e' un punto ancora controverso. L'unico esempio in questo senso, rileva Loreto, e' quello che accade quando una pianta parassita come la cuscuta cerca di avvilupparsi al fusto di altre piante: se queste non vogliono ospitare la cuscuta, emettono contro di essa composti che la "scoraggiano".

- INSETTI AMICI: le piante riescono a comunicare anche con organismi molto diversi, come gli insetti. Non solo le foglie, ma i fiori (come quelli di limone o della rosa) emettono molecole di un tipo se l'insetto e' "buono", come un impollinatore. Se l'insetto e' un erbivoro che divora le loro foglie, le piante emettono molecole per allontarli, molecole cosi' efficaci da essere utilizzate nella lotta biologica ai parassiti. Altre volte, conclude Loreto, le piante aggredite dagli insetti erbivori emettono invece segnali che chiamano a raccolta le loro "guardie del corpo", insetti predatori che si nutrono degli erbivori.

(fonte: Enrica Battifoglia per ANSA - http://www.ansa.it )

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Una nuova grande frontiera contro i tumori: arriva dai Batteri

Ricercatori australiani hanno scoperto e sperimentato una maniera per superare la resistenza dei tumori ai farmaci, usando nanoparticelle come 'cavalli di Troia', per somministrare agenti terapeutici alle cellule cancerose e ucciderle.

La nuova tecnica, sperimentata su topi e descritta sulla rivista Nature Biotechnology,consente di colpire direttamente con chemioterapia solo le cellule cancerose, come alternativa al trattamento corrente in cui i farmaci, iniettati nel paziente, attaccano anche le cellule sane.

In una prima fase le particelle, o minicellule, ricavate da batteri da cui e' stato rimosso il materiale genetico, penetrano nelle cellule cancerose e le disarmano rilasciando molecole di acido ribonucleico. Queste disattivano la produzione delle proteine che rendono le cellule cancerose resistenti alla chemioterapia. In una seconda ondata una settimana dopo, le minicellule chiamate EDV (EnGeneIC Delivery Vehicle), caricate con farmaci anticancro, vengono accettate nelle cellule cancerose e le uccidono.

"Il bello e' che le nostre EDV operano come 'cavalli di Troia. Arrivano alle porte delle cellule malate e viene sempre permesso loro di entrare", scrive la prof. Jennifer MacDiarmid, coautrice dello studio. "Cosi' battiamo le cellule maligne al loro stesso gioco. Loro attivano il gene che produce la proteina per resistere ai farmaci, e noi disattiviamo il gene in modo che i farmaci possano entrare".

Le sperimentazioni umane inizieranno la prossima settimana presso il Cancer Centre del Royal Melbourne Hospital con la collaborazione di scienziati dell'universita' di Melbourne, su pazienti di tumori solidi alla testa, al collo, ai polmoni, fegato e colon.

MacDiarmid ha osservato che le cellule cancerose resistenti ai farmaci sono la piu' grande minaccia alla sopravvivenza di lungo termine dei pazienti di cancro. Mentre i farmaci uccidono la maggior parte delle cellule malate, un piccolo numero di cellule cancerose puo' produrre proteine che le rendono resistenti alla chemioterapia. I tumori diventano cosi' intrattabili e continuano a prosperare, uccidendo il paziente.

(fonte ANSA - http://www.ansa.it )

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L'altra faccia del codex alimentarius




Firma subito la petizione per bloccare il Codex
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Marte e Luna crocevie per la vita sulla Terra?





La vita sul nostro pianeta quando è apparsa? Da dove proviene e, soprattutto, ci può essere un possibile collegamento col pianeta mitico per antonomasia, ossia Marte? Secondo le ultime scoperte e gli ultimi studi le più antiche forme di vita sul pianeta Terra risalgono a circa 3 miliardi e mezzo di anni fa. Infatti fossili di cosiddetti “stromatoliti” sono stati acclarati come organizzati ed evoluti per l’epoca in questione. Un epoca in cui sino a poco tempo fa era una eresia affermare che ci fosse vita, soprattutto organizzata ed efficiente. Vita che è apparsa “solo” un miliardo di anni dopo la formazione del nostro pianeta, davvero un “nulla” dal punto di vista paleobiologico. Quindi 3 miliardi e mezzo di anni fa esistevano organismi biologici che nascevano, si riproducevano, diventavano adulti e morivano, organismi che erano provvisti di un DNA primitivo, ma pur sempre DNA. Il mistero è ora capire da dove è arrivata la vita in quel periodo, da dove proviene il DNA? La risposta c’è la dà la Esobiologia, ovvero quella scienza che studia l’origine e lo sviluppo della vita nel cosmo. Secondo teorie ormai consolidate la vita su ogni corpo del cosmo, che sia pianeta, planetoide, satellite o asteroide, è un fatto comune nell’Universo conosciuto, quindi è anche consolidato il fatto che la vita sulla Terra è arrivata dallo spazio. Ma in che modo? Secondo le teorie accademiche, la vita (in forma di elementi prebiotici) è annidata nelle comete, specialmente nel nucleo ghiacciato. Questi corpi, ancora in parte misteriosi, sarebbero una sorta di “messaggeri” celesti, capaci di “dare vita”, ma anche di “toglierla”, basti pensare a comete e asteroidi caduti nel passato che hanno distrutto in più fasi la vita sulla Terra, un esempio su tutti l’estinzione del Tardo Permiano, avvenuta circa 230 milioni di anni fa e che eliminò il 95% della vita sul nostro pianeta. Ci sono però anche le ipotesi “eretiche”. Secondo il premio Nobel per la genetica per la scoperta del DNA, il professor Francis Crick, la vita è giunta sul nostro pianeta attraverso sonde automatiche, mandate da civiltà extraterrestri evolute dell’Universo, sonde cariche “geneticamente”. Una sorta di inseminazione “divina”, avvenuta per mano di alieni ignoti. E possibile ignorare questa tesi? Assolutamente no, per via del fatto che anche gli scienziati più scettici (dal greco Skepticos, incline al dubbio) danno come certa la presenza di civiltà evolute e tecnologiche nel cosmo infinito.Ammettiamo che la vita sia stata inseminata volontariamente da questi ignoti abitanti dell’Universo, questi ultimi da dove provenivano? Molte teorie, condite di razionalità e molto spesso da ciarpame allo stato puro, parlano di inseminatori nel nostro sistema solare, che provenivano da Marte. Oggi, come è appurato scientificamente, Marte sembrerebbe un pianeta arido di vita riconoscibile, visto che il pianeta sembrerebbe morto. Almeno in superficie. Ma molti studiosi sono concordi nell’affermare che. in un lontano passato, il cosiddetto “Pianeta Rosso” non era affatto di quel colore, ma fosse provvisto di atmosfera respirabile, un atmosfera simile a quella del nostro pianeta attuale. Quindi teoricamente miliardi di anni fa, mentre il nostro pianeta era ancora un vivace “infante”, Marte era un pianeta già “adolescente”, con un vita già presente ed evoluta, capace magari di una organizzazione tecnologica. Apparentemente sembrano sciocchezze da bar, ma potrebbe non essere cosi. Negli anni passati numerose sonde, sia statunitensi che sovietiche, hanno visionato il pianeta e le sue misteriose lune e hanno riscontrato anomalie strutturali sconvolgenti. Anomalie che vanno da cupole, piramidi, volti, tunnel, città e cosi via. Ma come sempre, quando si tratta di misteri, quelli che sembrano tali potrebbero non esserlo, perché molte immagini sono davvero a bassa risoluzione e quando la definizione è davvero limitata, ci si può immaginare di tutto. Resta il fatto comunque che almeno il 5% di questi presunti artefatti, sembrerebbero davvero resti di misteriose vestigie extraterrestri. Si può affermare che noi saremmo di origine marziane e i nostri “avi” preistorici erano transfugati sul pianeta Terra a causa di un misterioso cataclisma che ha riguardato il pianeta Marte?

Ipoteticamente si, ma un ipotesi non è certezza, ma forse “prove” più probanti le possiamo trovare sul nostro pianeta, magari nella…scrittura.Prenderemo come esempi due lingue difficili da comprendere e soprattuto da scrivere attraverso caratteri, ma queste due lingue ci posso dare indizi concreti che la vita sulla Terra è arrivata da Marte, analizzando come scrivevano la parola Marte due civiltà in particolare, quella sanscrita e ebraica. Incominciamo prima con una breve introduzione sulla lingua, partendo dal Sanscrito.
Il Sanscrito appartiene alla famiglia delle lingue indoeuropee ed è ufficialmente utilizzata in India. E’ un linguaggio basilare nella cultura Indiana, come lo sono stati il Latino e il Greco in Europa. Dal Sanscrito derivano molti testi classici, come il Veda. Importanti sono le grandi epiche indiane (equivalenti alla antica Bibbia cristiana) come il Mahabharata e Ramayana, famose tra gli studiosi di Ufologia, visto che in queste storie indiane si parla di esseri provenienti dal cieli, di battaglie stellari e di macchine volanti, denominate “Vimana”. Questa Bibbia indiana è antichissima e risale a oltre 8000 anni fa. Ma oltre questo, la particolarità della lingua sanscrita è data dai caratteri. A prima vista sembrerebbero normali segni, ma vedendoli meglio, utilizzando la parola “Marte”, si può dare adito ad interpretazioni inquietanti.





La parola Marte in Sanscrito è formata da 5 segni che sembrano altrettante “T”, di cui 3 con un estremità in testa più lunga dell’altra, mentre le altre due sembrano avere una estremità più bilanciata, con delle strane “virgole” che escono dalla testa. Facendo un ardita interpretazione possiamo affermare che il primo carattere rappresenta l’essere originale, l’Adamo “cosmico”. La seconda rappresenta il pianeta Marte che ha dato vita al suo pianeta, ma ad un certo punto la vita si è interrotta (si noti la virgola che non raggiunge l’Adamo Marziano). Il terzo carattere rappresenta la Terra, gemello di Marte che ha avuto linfa vitale dal pianeta morente e ha dato origine ad esseri con DNA (si noti che la virgola della vita stavolta è continua e si collega con il quarto carattere che sembra avere una sorta di spirale .“DNA?”), dopodichè il DNA ormai creato ha fatto si che si creassero esseri che si potessero riprodurre, come si nota dal quinto e ultimo carattere. Naturalmente sono pure speculazioni soggettive, che danno però nuova linfa alla conferma che il DNA e la vita possano provenire da un Marte preistorico.

Ancora più inquietante e sconvolgente è ciò che si può interpretare visivamente, leggendo la parola Marte in Ebraico. L’ebraico, come si sa, è una lingua antichissima. Come il latino, il sanscrito e l’arabo è stata la lingua di una grande religione e per tale motivo è stata sempre praticata, per scopi prettamente liturgici, e non solo. In questa lingua sono stati composti i testi sacri della Bibbia ebraica, che nella sua totalità costituisce l’Antico Testamento della Religione Cristiana, con l’aggiunta di alcuni libri scritti in greco per la versione Cattolica. E se Dio, inseminatore della vita nel cosmo, di cui parla la Bibbia provenisse da Marte e portasse con sé la spirale della vita, ossia il DNA? Guardate sotto la parola, in caratteri ebraici, inerente Marte. Cosa notate a prima vista? Notate la scritta DNA? Stavolta non può essere una interpretazione, Marte è equivalente di DNA, che collegandolo alla Bibbia Ebraica potrebbe ipotizzare che Dio fosse un marziano e che noi siamo suoi figli legittimi. Le prove ce le dà la scrittura, quella antica piena di significati e misteri. Ma se la vita è ipoteticamente arrivata da Marte, potrebbe aver toccato anche la nostra Luna? Tralasciando tesi non suffragate da dati certi, inerenti presunte basi extraterrestri sul nostro satellite e l’ipotesi che la nostra Luna sia all’interno cava e di origine artificiale, è un dato certo che il nostro satellite qualcosa di anomalo ce l’ha. Oltre all’apparizione di fenomeni aerei anomali, denominati TLP, è stato ormai acclarato scientificamente che il nostro satellite abbia una grande quantità di ghiaccio ai Poli, probabilmente frutto di impatti cometari nel passato e addirittura una tenue atmosfera fatta di ossigeno, troppo tenue comunque da poter far respirare, in maniera naturale, l’uomo senza tute e scafandri. Ma potrebbe invece essere utile ad altri organismi, seppur elementari. Se accettiamo l’idea che il “vento vitale” di Marte abbia toccato anche il nostro satellite, dobbiamo pur trovare prove scientifiche che la nostra Luna sia viva. Secondo la NASA non ce ne sono, ma secondo l’Agenzia Spaziale Russa invece si. E la prova esiste da oltre 35 anni, ma è celata dall’establishiment militare e scientifico statunitense (e non solo). La prova della vita sulla Luna è stata riscontrata il 24 settembre 1970, quando un UAV spaziale russo, il Lunar 16, atterrando nel Mare della Fertilità selenita, prelevò 101 grammi di regolite lunare e li mise in un contenitore ermeticamente sigillato. Lo stesso fece nel febbraio del 1972 l’altro UAV russo, il Lunar 20 che prelevò, a oltre 120 chilometri di distanza dal primo atterraggio di Lunar 16, un altro campione di regolite. Anche questo fu ermeticamente sigillato. Una volta ritornati in patria vennero aperti e dopo aver fatto scrupolose analisi di laboratorio, venne fatta la sconvolgente scoperta. Sulla Luna ci sono microorganismi, seppur fossilizzati. Lo hanno affermato due biologi dell’ Accademia Russa delle Scienze, professor Stanislav I. Zhmur e professor Gerasimenko. Hanno notato che alcune fotografie e analisi sui reperti, riportavano campioni di fossili identici a quelli terrestri. Infatti alcune particelle di regolite sferica, prelevati da Lunar 20, assomigliavano chiaramente a fossili di batteri coccoidali moderni, come il Sideroccoccus o Sulfolobus. Ma non finisce qui. Nei campioni prelevati da Lunar 16 erano presenti fossili di microorganismi filamentosi del tipo Phormidium Frigidum, scoperti in Australia, in un raggruppamento di Stromatoliti e risalenti al Proterozoico.Ecco quindi che rientrano a galla gli Stromatoliti, la più antica forma di vita apparsa sulla Terra circa 3,5 miliardi di anni fa. Se i fossili seleniti sono dannatamente simili a microorganismi che vissero sulla Terra, accanto agli Stromatoliti, oltre 3,5 miliardi di anni fa, si aprirebbe davvero un altro capitolo affascinante e allo stesso modo inquietante sull’origine del nostro satellite. Che la Luna oltre 3,5 miliardi di anni fa era foriera di vita, come lo era Marte, ma misteriosamente la vita cessò, come avvenne nei mari marziani. Quindi si potrebbe azzardare che la Luna non è affatto un satellite, ma un mini pianeta, con una sua vita passata, spazzata poi in maniera imprevista. Oppure si potrebbe azzardare la tesi che i seleniti evoluti sono davvero esistiti ma che erano Marziani alloggiati provvisoriamente li oltre 3 miliardi e mezzo di anni fa, hanno contaminato l’ambiente e poi si sono trasferiti sulla Terra. Solo cosi si potrebbe spiegare l’origine dei misteriosi fossili seleniti. Forse è vero per davvero che noi siamo i veri….marziani.

Immagine di apertura che illustra i pianeti Terra e Marte col satellite terrestre Luna

Nella quarta, quinta e sesta immagine, fossili di microrganismi trovati sulla Luna, fonte sito http://www.panspermia.org

FONTI: centroufologicotaranto.wordpress.com

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